Seconda zona rossa: la nostra corsa

QUINTA EFFE- Un breve racconto come una metafora di come noi ragazzi stiamo attraversando questa seconda zona rossa.


“Un passo indietro grazie, tutti dietro la linea di partenza ragazzi”. Ai vostri posti e poi lo sparo. Ecco, lo sparo è qualcosa di particolare, tu lo sai che arriverà, lo aspetti con la gamba in tensione dietro la linea bianca, eppure, nel momento in cui lo senti, ti coglie, ancora una volta, di sorpresa.

Ma andiamo avanti, la corsa campestre era iniziata! Superata la prima curva avevamo tutti la strana sensazione di aver già gareggiato su quel terreno, tuttavia mai abbassare la guardia perché ogni percorso è diverso dall’altro.

Si apriva a noi un appezzamento di terra, una sorta di pianura con qualche piccola salitella, ma non erano queste che ci spaventavano, il nostro sguardo cercava l’arrivo.

Nelle corse campestri, come nella vita, diventa fondamentale sapere verso quale direzione muoversi, perché il traguardo è lì fermo che ti aspetta e diventa per te una certezza. Lo puoi guardare e a tratti riesci a immaginare il momento in cui lo supererai con tutto il turbine di emozioni annesse.

Il traguardo c’era, ma quello che ci frenava era una lunghissima serpentina, qualcosa di spaventoso per cui tutti involontariamente abbiamo rallentato il passo. Una volta entrati in questi tratti rettilinei in serie, uno vicino all’altro, ci sembrava di correre sul posto. La realtà è che ci muovevamo, ma orizzontalmente, e sarebbe bastata una trasversale su tutte quelle parallele per arrivare in un batter d’occhio alla fine della gara.

Correndo a favore del vento (da destra verso sinistra) ci avvicinavamo all’arrivo, che potevamo quasi toccare, poi dopo la stretta curva ad U, con il traguardo alle spalle, venuto meno il contatto diretto con la nostra certezza e il vento che viaggiava contro i nostri corpi, sopraggiungeva la vera fatica. Alcuni iniziavano a rallentare e altri si fermavano. Il tifo degli allenatori e dei genitori attraversava le nostre orecchie e si agganciava dritto al cuore, tanto che c’era chi iniziava a rendersi conto che continuava a correre ormai per la madre, per il padre o per chissà chi altro, ma non più per sé stesso. Nelle corse campestri (quelle difficili) non sono ammesse incertezze o peggio rivelazioni di questo tipo, perché per sopportare uno sforzo fisico così pesante puoi contare solo su te stesso, non ti basta più sentire “non mollare” se quelle parole provengono da una persona che non sei Tu. Di conseguenza tutti eravamo alla ricerca di una motivazione che fosse Nostra, l’unica in grado di salvarci. Alcuni ragazzi la cercavano nel loro profondo e altri avevano paura di scavare.

Era un alternarsi di speranza e sconforto, incertezze seguite da sicurezze, un fiume in piena di sentimenti che metro dopo metro si sbiadivano di più. Un fiume destinato ad esaurirsi in un percorso che ci sembrava invece non si esaurisse mai.

“Ci consumerà”, temevamo, “ci lascerà svuotati e senza più l’energia di muovere nemmeno il più piccolo dei muscoli”.

Questo breve racconto

Questo breve racconto vuole essere una metafora di come noi ragazzi stiamo attraversando questa seconda zona rossa. Oramai, dopo un anno di pandemia segnato dalla frustrazione, dalla malinconia, da scoperte e speranze, è come se tutto intorno a noi ci indicasse il traguardo; riusciamo quasi a percepire il calore degli abbracci che ci scambieremo, a pregustare il sapore del ritorno alla normalità, a sognare il nostro futuro senza più divieti, incertezze o paure. Ma la realtà è che siamo ancora qui, nel bel mezzo della pista spaventati dagli ostacoli, tutti alla ricerca di un motivo valido per continuare la nostra corsa.

(foto: licenza pxhere – https://pxhere.com/it/photo/763160 )