Sergio Rizzo, maestro del giornalismo libero in un’Italia di gomma

INTERVISTA A SERGIO RIZZO di ALDO BELLI – Il nuovo libro “Io so’ io. Come i politici sono tornati ad essere intoccabili” (edizione Solferino).

E’ appena uscito l’ultimo libro di Sergio Rizzo: “Io so’ io. Come i politici sono tornati ad essere intoccabili” (edizioni Solferino).

Giunto all’età di sessantasette anni, Rizzo continua a pensare che il giornalismo, l’informazione, il fare inchieste, rendano un paese comunque migliore, anche se quello che scrive entusiasma solo i propri lettori e sbatte contro un muro di gomma. Scrive Gian Antonio Stella nella prefazione del libro: “In altri anni la cosa sarebbe finita in prima pagina”. La “cosa” nel caso dei libri e degli articoli di Rizzo, è un elenco infinito che in un paese occidentale avrebbe fatto saltare onorevoli, ministri, magistrati e via dicendo dei potenti di turno. Se “Potere assoluto. I cento magistrati che comandano in Italia” (il precedente libro del 2022) fosse stato pubblicato negli Stati Uniti o in Inghilterra o in Danimarca, nessuno dei briganti in abito blu sarebbe oggi ancora in circolo. Amichettismo? “Ho contato 70 parenti in Parlamento”.

Ma in Italia non funziona così. Mi dice Rizzo: “Viviamo in un paese narcotizzato”. Io gli rispondo che l’Italia a me pare piuttosto un “regime”.

L’ultimo libro, “Io so’ io”, come i precedenti racconta fatti, cita nomi e cognomi.

Un tempo, un articolo di giornale con notizie di reato finiva sulla scrivania di un procuratore della Repubblica, sebbene in verità quasi sempre quando metteva in mutande il potere. Negli anni settanta e ottanta la Procura romana era diventata per tutti “Il porto delle nebbie”, dove le inchieste sulla verità venivano scientificamente insabbiate. Tuttavia, le malefatte esposte alla luce del sole procuravano una reazione. Oggi, invece, è narcosi totale.

Com’è possibile – gli chiedo – che lei scriva “cose” da far rizzare i capelli riguardanti la gestione del denaro pubblico e la vita reale degli italiani, e nessun magistrato abbia mai aperto un fascicolo? Un sottosegretario al Lavoro acquista con lo sconto la casa, nella quale abita, da un ente di previdenza che dal suo ministero è vigilato e che per giunta la pigione l’aveva pagata il suo ex sindacato”; l’acquisto da parte del Ministero della Difesa di 19 Maserati 4000 Quattroporte blindate destinate ai vertici militari, prezzo di listino 117.000 euro senza contare la blindatura. Linee aeree che si aprono e chiudono per un ministro a spese dei contribuenti… E non c’è un magistrato che la convochi e le chieda di cosa sta parlando?

Non mi stupisco dell’inattività della magistratura di fronte a notizie che diventano pubbliche e sfiorano il codice penale” mi risponde Sergio Rizzo. “La magistratura si è sempre adeguata al potere. Ha gli stessi difetti della politica. Nel 1982 c’erano 18 magistrati iscritti alla P2. In Italia la politica influenza un po’ tutto”.

Nel 2007 Rizzo, insieme a Gian Antonio Stella, dette alle stampe “La Casta. Così i politici italiani sono diventati intoccabili. E continuano ad esserlo” (1 milione e 300mila copie, stampato in 29 edizioni). Sono trascorsi diciassette anni e risiamo alla Casta.

Io so’io”, mi ha ispirato Il Marchese del Grillo. Qualcuno, con tutti i ribaltamenti politici che abbiamo avuto, pensava che fosse cambiato qualcosa. Invece, purtroppo, la casta è tornata e i politici sono tornati intoccabili”. La Casta dell’ultimo libro guarda all’epoca meloniana: società a controllo pubblico, poltrone rispettabili, il governo di centrodestra ha monopolizzato tutto, e Rizzo snocciola uno per uno tutti i casi più o meno eclatanti.

Mi permetto di osservare che anche prima della Meloni l’andazzo non era molto diverso.

Almeno salvavano le forme, adesso invece neppure quelle”.

Non chiedo a Rizzo se sia possibile indicare una data di origine di questo sistema politicamente guasto, nel quale la vittoria delle elezioni e la conquista del governo significano l’acquisizione della “proprietà esclusiva della cosa pubblica”. La risposta è già nel libro.

“Tale singolare modo di concepire l’amministrazione di un Paese a democrazia parlamentare ha radici trentennali. E pure la sinistra, che tanto s’indigna per i comportamenti predatori della destra al governo, si è senza troppi problemi di coscienza adattata fin dall’inizio allo stile del potere in voga dalla cosiddetta Seconda Repubblica…”. Rizzo indica l’esempio per il Paese proveniente dalle più alte cariche dello Stato: “il bon ton istituzionale comincia nel giugno del 1968, quando la Camera elegge il primo presidente non democristiano: è il socialista Sandro Pertini. Il Psi si trova formalmente all’opposizione. Da quel momento i presidenti della Camera sono riservati al Pci, che non può governare, e quelli del Senato alla maggioranza di governo… La svolta avviene il 16 aprile 1994 con la vittoria del centrodestra. La Camera elegge la giovane leghista Irene Pivetti. E il Senato Carlo Scognamiglio” (Forza Italia). “Nel 1996 è invece il centrosinistra a vincere le elezioni: ecco allora Luciano Violante del Pds alla Camera e Nicola Mancino del Partito popolare al Senato”… e così via fino ad oggi.

Io insisto sulla definizione di regime, in fondo una società civile non si narcotizza da sola. Ma a Rizzo non piace: “In Italia quella parola assume tradizionalmente un significato particolare, rischia di non rendere correttamente l’ideaIl problema non è la nostalgia, per altro un po’ fisiologica in Italia; il problema preoccupante, con il quale colgo oggi una deriva pericolosa, è un insieme di segni che indicano come la destra non abbia metabolizzato il fascismo, non va bene che il governo minimizzi atteggiamenti di violenza e di intolleranza provenienti dalla propria area di consenso. E’ preoccupante”.

Rimane il fatto che questa narcosi, il cui esempio più illuminante è l’avere introdotto un sistema elettorale con il quale non sono più i cittadini a scegliere liberamente i propri rappresentanti ma i partiti, è andata crescendo e affermandosi come se la bilancia avesse un solo piatto e non due.

“Il Parlamento non ha più la funzione che la Costituzione gli assegna”. E ancora dice Rizzo: “Perché chi governa, in Italia, comanda. E’ la regola della Terza Repubblica“. Come diceva Alberto Sordi nei panni de il Marchese del Grillo: “Io so’ io, e vvoi nun zete un cazzo”. Scrive Rizzo: “La mediocrazia riguarda tutti i partiti e le eccezioni si contano sulle dita di una mano. Non è neppure una deriva recente: viene da lontano”. Calca però la penna sul presente marcato dal centrodestra al governo, riassumendo così il filo conduttore di questo libro: “Viene da lontano sì, ma ha preso via via una piega inaccettabile, con casi inimmaginabili”.

Gli leggo un passaggio della prefazione di Gian Antonio Stella:Com’è possibile che un Parlamento amputato di circa un terzo dei suoi deputati e senatori” (con l’ultima legge elettorale) “costi esattamente come prima se non di più? Ma lo ricordate lo striscione dei grillini nell’ottobre 2019 davanti a Montecitorio per festeggiare quel taglio passato con 553 voti a favore, 14 contrari e 2 astenuti?: ‘Meno 345 parlamentari, 1 miliardo per i cittadini!’...”.

Nella legislatura avviata nell’ottobre 2022, denuncia Rizzo, “sebbene il numero dei parlamentari sia ridotto del 36,5 per cento, le dotazioni finanziarie di Camera e Senato non si riducono di un centesimo… Se dividiamo il totale per il numero degli onorevoli scopriamo che il peso sull’Erario di ogni seggio alla Camera, tutto compreso, è di 2.359.900 euro: 861.559 euro in più. Mentre al Senato il costo è di 2.465.173 euro: 885.922 in più”.

E naturalmente tutti d’accordo.

Il giornalismo d’inchiesta per Rizzo è ormai il suo biglietto da visita (anche nei tribunali dove viene citato sì, ma per difendersi dal reato di diffamazione): è sufficiente dare un’occhiata ai titoli degli ultimi articoli pubblicati su L’Espresso.

Chiudendo la nostra conversazione ho ripensato se avessi dovuto chiedergli se nutre qualche speranza per l’Italia. Ho preferito non saperlo. Mi limito a pensare che anche di fronte ai muri di gomma, finché una voce libera si alza fendendo le nebbie, si rende maestra (anche senza dover condividere tutto quello che dice). Sergio Rizzo è un maestro di giornalismo per quanti hanno dimenticato (compreso tanti giornalisti) che la libera informazione è un pilastro insostituibile della democrazia, e ossigeno per quanti da lettori possono meglio comprendere il paese in cui vivono.

Sergio Rizzo è editorialista de L’Espresso. Vicedirettore de La Repubblica fino al 2021, quando il 29 settembre ricevette una mail dove stava scritto: “Caro Sergio, da novembre sei in cassa integrazione a mille euro”.