Socrate e l’anno che si chiude

di MASSIMO GARGIULO – La vera sapienza ora sarebbe essere consapevoli del molto che non si sa, e che questo modello di sviluppo non funziona.

La cesura tra anni vecchi e nuovi ha sempre un che di artificiale, non cadendo peraltro in un momento significativo per l’alternarsi delle stagioni. Gli ultimi poi sono accomunati dalla pesante impronta del covid, che ha ripetutamente svelato come illusori i molti momenti indicati quale definitivo passaggio da una fase all’altra. È una fissità determinata paradossalmente dalle varianti. Nel rileggerla a scuola nelle ultime, tribolate settimane, l’Apologia di Socrate – la magnifica opera di Platone in cui l’allievo riporta il discorso che avrebbe pronunciato il maestro nel processo che lo vide condannato a morte tramite cicuta (399 a.C) – mi si è imposta come chiave ermeneutica per un bilancio, peraltro non voluto ma emerso in forma spontanea, dell’anno che si sta chiudendo.

All’inizio dell’orazione vengono riportate più o meno tutte le accuse che erano state mosse a Socrate: di introdurre nuove divinità, scrutare ciò che è in cielo e sotto terra, corrompere i giovani, far apparire più forte il discorso più debole. Egli, stando al resoconto di Platone, le bolla sostanzialmente come ridicole, tanto che già si trovavano, egli dice, in una commedia di Aristofane di poco più di venti anni prima (le Nuvole). Il filosofo però introduce la possibile obiezione di uno dei cittadini, che potrebbe chiedere che cosa egli faccia allora per far nascere tali calunnie. Ritenendola legittima, egli risponde che tutto è in effetti dovuto a quella che chiama, alla lettera, “una qualche sapienza”, chiarendo poi che si tratta di una sapienza umana. Qui si apre il racconto del percorso a ritroso che lo ha condotto a tale consapevolezza, avviato da un oracolo che era stato dato dalla Pizia a un certo Cheremone, esponente della fazione democratica, in base al quale non vi era nessuno più sapiente di Socrate stesso. Questo lo aveva indotto a istruire un’indagine per comprendere il senso di un oracolo che, in quanto tale, doveva essere vero, ma rimaneva per lui incomprensibile. Così racconta come si fosse recato presso le categorie ci coloro che riteneva più sapienti, per dimostrare che lo erano più di lui.

Il primo interlocutore fu un politico, del quale per pudore l’accusato non menziona il nome, aiutandoci nella analogia con il presente. Dopo averlo esaminato, Socrate arriva alla conclusione che egli sembra sapiente a molti e soprattutto a se stesso, ma non lo è e, per onestà, prova a farglielo capire, ottenendo l’unico risultato del suo odio.

La ricerca prosegue quindi in forma sistematica tra le categorie che avevano reputazione di sapienti, con il risultato costante che lo sembravano meno di chi non aveva questa fama: i poeti e gli artigiani, dei quali era sicuro di essere più ignorante. Ma, se ciò accadeva, riguardava solo lo specifico della loro competenza, anzi i poeti in realtà apparivano privi persino di quella e debitori della sola ispirazione divina; il vero difetto di tutti era che, pur sapendo quel poco, avevano la presunzione di conoscere anche tutto il resto che nulla aveva a che vedere con la loro attività. Qui Socrate può comprendere il valore dell’oracolo: la superiorità della sua sapienza consiste proprio nel conoscerne i limiti, nel sapere di non sapere, nell’avere chiaro come si tratti di un possesso mai definitivo e sempre in costruzione.

È questa consapevolezza che mi è apparsa come la chiave più convincente del longus annus iniziato nel 2020 e che tra poche ore avrà solo una mezzanotte in più. È veramente tempo di fare l’elogio del non sapere.

Siamo tutti stati letteralmente invasi dalla mania degli esperti. Ne avevamo e ne abbiamo senz’altro bisogno, perché ci troviamo ad affrontare temi, come la vita e la pericolosità di un virus, che ricadono nella conoscenza settoriale di virologi, biologi e simili. Ma, al di là della vendita del sapere a caro prezzo di cui ancora l’Apologia potrebbe dirci cose interessanti, il limite enorme è stata l’incapacità, o la non volontà, di ammettere una inevitabile dose di ignoranza su argomenti nuovi e complessi. La scienza vera nasce dal dubbio che porta all’esperimento, non da certezze che il vero scienziato potrà confutare. Gli esperti sono mancati proprio in questo e, dietro di loro, le classi dirigenti. Hanno agito come il commissario mirabilmente interpretato da Volonté che arringa i suoi sottoposti esaltando l’essere bambino del popolo; altri l’avrebbero educato, le forze dell’ordine lo avrebbero (sic!) vaccinato: “Repressione è il nostro vaccino”. Il problema è stato che le persone comuni, che si è tentato forse di rassicurare in questo modo, hanno dovuto puntualmente constatare come la realtà non rispondesse alle previsioni. Il Ministro Speranza nell’estate 2020 aveva persino scritto un libro su come avessimo sconfitto il virus. Quanto meglio sarebbe stato limitarsi alla quota di reale padronanza della situazione, ammettendo però anche i limiti rispetto ad essa?

Ciò si è legato, o forse ha prodotto, un altro esito estremamente negativo, la polarizzazione tra le due fazioni dei pro- e dei no-. Anche chi non avrebbe titolo alcuno, ha iniziato a spacciare teorie bislacche per scienza, un possibile corrispondente latino della sophia socratica. Senza alcun riguardo per ciò che legittimamente non si sa, molti hanno negato l’esistenza stessa del virus, l’affidabilità dei vaccini e la loro efficacia. Hanno negato la propria altrettanto legittima ignoranza della storia, istituendo paralleli insostenibili con periodi tragici, dimenticando poi quella recentissima di una generale spontanea sottomissione alle forme di controllo che passano attraverso social e tecnologie assiduamente praticati.

C’è poi un gruppone, nel quale ho la presunzione di riconoscermi, che è quello che Socrate descrive come coloro che si presentano come depositari di una sapienza minore perché non onnisciente e ne rivelano invece più degli altri. Chi, ad esempio, si è vaccinato non perché non veda i limiti scientifici ed etici del prodotto in sé e delle multinazionali che lo producono, o perché ha una innata tendenza alla sottomissione, ma perché piuttosto ha un’idea più alta della libertà, nella quale vede una condizione che deve essere sociale e non può rimanere solo individuale, nella quale la responsabilità del noi è più forte della pretesa dell’io. L’ignoranza di questa categoria, oltre che dote intrinseca, deriva purtroppo da un altro fattore, stavolta esterno. La diatriba tra campi contrapposti di pseudo-esperti, monotematica com’è, distrae da una serie di elementi che occorrerebbe invece avere ben presenti. Chi ci governa è descritto come il gruppo dei sapienti assoluti, dei “migliori”. Se lo sono, lo sono nella forma parziale che denunciava Socrate, ma qui la parzialità sta nella difesa di interessi di parte, come denuncia chiaramente la riforma dell’IRPEF appena approvata: le attività produttive, le classi medio-alte. I provvedimenti presi in questa direzione rimangono una conoscenza marginale, compressa anche nelle aule parlamentari.

Si è usato il vaccino come unico antidoto, negandone i limiti e favorendo lo scoppio di una guerra quasi religiosa intorno ad esso, per evitare di porre mano a quegli interventi che noi da sempre richiediamo e che non rientrano nell’agenda di chi, da anni, governa. Per la scuola, il Ministro Bianchi predica una sacrosanta ripresa in presenza. L’unico provvedimento in tal senso è la proroga al 31 Marzo dei contratti cosiddetti covid, che però non incide in alcun modo sulla possibilità di distanziamento, che si ottiene solo riducendo il numero di persone in spazi che rimangono sempre gli stessi. Più facile aumentare progressivamente il numero di positivi per mettere in quarantena l’intera classe.

Non so come andrà, ma almeno mi accorgo di ciò che già non va. Non so e cerco di affidarmi, pur sapendo che spesso non mi posso fidare. Ha ragione Socrate. La vera sapienza ora sarebbe partire dalla consapevolezza del molto che non si sa, senza rimuovere un dato evidente, che questo modello di sviluppo non funziona.