di BEATRICE BARDELLI – Intervista ad Antonio Porto, una storia d’ingiustizia a lieto fine, che però gli ha sconvolto la vita.
E’ stato un incubo! Così inizia la nostra intervista ad Antonio Porto, segretario regionale Campania e membro del Direttivo nazionale del sindacato LeS, acronimo di Libertà e Sicurezza della Polizia di Stato, oltre che segretario di LeS Caserta dove ha iniziato la sua esperienza sindacale. Antonio ci ha contattato per raccontarci una storia allucinante. Una storia che gli ha sconvolto la vita.
Una storia di accuse false durante lo svolgimento del suo servizio ma anche una storia di riconoscimenti risarcitori per non aver commesso il fatto durata quasi venti anni della sua vita. Attraverso tre gradi di giudizio: da parte del Tribunale ordinario di Crotone che si è espresso, dal 2003, soltanto nel dicembre del 2018, poi, da parte della Corte di Appello di Catanzaro del primo febbraio 2021 ed infine da parte della Corte di Cassazione dello scorso 29 novembre 2022 che lo ha assolto con formula piena. Una storia che potrebbe essere raccontata in un film, uno di quei thriller che vendono al botteghino il tutto pieno nelle sale. Purtroppo quella di Antonio è una storia vera, vissuta giorno dopo giorno sulla sua pelle, quella di un poliziotto che ama la sua divisa ma che, soprattutto, ama e vuol far rispettare ogni articolo di quella Carta Costituzionale su cui ha giurato prima di intraprendere la sua carriera di tutore in divisa della legge.
La Storia
Inizia una notte del 10 giugno 2003. Antonio, che allora prestava servizio a Crotone, con un collega deve coprire il turno di notte da mezzanotte alle 7 del mattino seguente sulla volante Tufolo di cui è il capopattuglia. Intorno alle 2.30 la Centrale li chiama per un intervento ispettivo su un gruppo di giovani che si aggiravano in forma sospetta tra alcune auto. Durante il tragitto notano un ragazzo che correva, un tossicodipendente di Crotone, a loro ben noto per i suoi trascorsi. Terminato con un nulla di fatto l’intervento, il giorno dopo i due poliziotti hanno saputo che il tossicodipendente li aveva querelati per essere stato picchiato alle 2.30 di notte. Ed aveva mostrato agli inquirenti un referto medico, stilato nel pomeriggio, dove gli erano stati riscontrati tre lividi con sei giorni di prognosi. Da questo “fatto” nasce la vicenda giudiziaria che tormenterà per quasi 20 anni Antonio Porto ed il suo collega e che si risolverà soltanto nel novembre 2022. “Siamo stati subito sottoposti ad interrogatorio da parte dei Carabinieri di Crotone ma abbiamo subito respinto tutte le accuse – racconta Antonio Porto.
La denuncia
Il tossicodipendente che ammette di essere stato sotto l’effetto di stupefacenti, prima indica l’incontro (“scontro”) alle 3.15 di notte quando i due poliziotti avevano comunicato di stare rientrando in ufficio, poi l’accusatore conferma di voler ritirare la denuncia ma, dopo un mese, ci ripensa e denuncia di essere stato “selvaggiamente” picchiato dai due poliziotti dentro l’auto anche se il referto medico non l’aveva confermato. Da allora il tossicodipendente inizia a giocare su una serie di versioni dei fatti che contraddicono il referto medico ma che vengono sostenuti dalle dichiarazioni della sua fidanzata che si dichiara testimone diretta dei fatti contestati. Quattro mesi dopo, il 17 ottobre 2003, il Giudice per le indagini preliminari di Crotone firma l’Ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari ad Antonio ed al suo collega. Motivazione? Pericolo di inquinamento delle prove e di reiteramento del reato. “Allora vivevo in albergo, a Crotone, ed ho passato giorni difficilissimi di isolamento totale in attesa dell’udienza di incidente probatorio del 30 ottobre 2003 – racconta Antonio. La giustizia nel caos. All’udienza il tossicodipendente dà una versione totalmente diversa tuttavia conferma di essere stato pestato selvaggiamente ma cambia gli orari. Ai due poliziotti viene contestato il sequestro di persona e lesioni/minacce/percosse con l’aggravante di avere agito come pubblici ufficiali e soprattutto con crudeltà. Al termine dell’udienza il GIP revoca gli arresti domiciliari. Da allora inizia quello che viene definito il caos della giustizia. “ Il giudice titolare del dibattimento non è rimasto lo stesso. O cambiava ruolo o veniva trasferito e si ricominciava da capo. Per avere diritto ad una sentenza di primo grado abbiamo dovuto aspettare 15 anni – denuncia Antonio – . Durante questo periodo si sono alternati 7 giudici diversi per oltre 50 udienze a cui partecipavo con il mio avvocato, Silvano Cavarretta, del Foro di Crotone”.
Riammesso in servizio
“Secondo la prassi, se non si definisce il procedimento penale entro 5 anni con una sentenza definitiva, veniamo riammessi in servizio, ma tutto viene congelato – spiega Antonio Porto – . In pratica rimaniamo in un limbo senza progressione di carriera. E nell’ottobre 2008 il procedimento penale era ancora in atto…ho ricevuto soltanto l’assegno alimentare, il 50% dello stipendio, non mi sono stati pagati i contributi né mi è stato conteggiato l’avanzamento di servizio. In pratica, per la nostra Amministrazione non siamo esistiti professionalmente. Quei cinque anni li ho passati malissimo. Con accuse che sapevo essere false. Mi sono stati vicino i miei genitori ed ho avuto la solidarietà dei colleghi della Volante che non mi hanno fatto pesare il procedimento a mio carico, nemmeno i dirigenti. Durante quel lunghissimo periodo studiavo le carte del procedimento penale, fu il mio avvocato a dirmi che il migliore avvocato di me stesso ero soltanto io…Era necessario passare al rito ordinario perché in quel caso la prova si deve formare davanti al giudice e non deve essere affidata soltanto ai testimoni. Alla fine mi sono stancato e con l’ultimo giudice ho rinunciato alla prescrizione pervenuta nel frattempo ed ho dato il consenso al giudice di acquisire tutta l’attività dibattimentale svoltasi fino a quel momento acquisendo le testimonianze già a fascicolo e non di persona. Il giudice di Primo grado emette la sentenza nel dicembre 2018 e ci condanna a 1 anno e 7 mesi di reclusione ma con la pena sospesa perché incensurati. Inoltre ci condanna al pagamento di 3.000 euro al tossicodipendente perché si era costituito parte civile e di 4.000 euro allo Stato. Io mi sono rifiutato di pagare perché volevo giustizia ma l’avvocato del tossicodipendente ha fatto ricorso al giudice del lavoro che mi ha pignorato più di 5.000 euro, i 3.000 più le spese legali, prelevando 270 euro al mese dal mio stipendio. Somme che andavano non direttamente al tossicodipendente ma in un cassetto fiscale. Comunque la mia carriera è stata bloccata. Oggi sono ancora agente scelto ma avrei potuto diventare sovrintendente capo con aumento di stipendio e con la possibilità di avere frequentato corsi di specializzazione. E questo è nella prassi. Un’Amministrazione non può spendere per una persona che potrebbe essere condannata e quindi licenziata”.
La vittoria finale
Fortunatamente, nel febbraio 2021, la Corte di Appello di Catanzaro si è espressa per l’assoluzione con formula piena del poliziotto sindacalista e del suo collega e per la revoca di tutte le prescrizioni stabilite dal giudice di Primo grado. Una sentenza che non ha soddisfatto la Procura generale di Catanzaro presso la Corte di Appello che ha presentato ricorso in Cassazione contro la sentenza di assoluzione richiedendo la conferma della nostra condanna. Ma la Cassazione, con sentenza del 29 novembre scorso, ha dichiarato il ricorso inammissibile ed ha confermato la sentenza di assoluzione della Corte di Appello. La vittoria della verità dei fatti realmente accaduti è stata “conquistata” da un tandem affiatato di avvocati, l’avvocato Silvano Cavarretta del Foro di Crotone e l’avvocato Eugenio Pini del Foro di Roma.
Poliziotto e sindacalista
“Sono diventato sindacalista nell’aprile 2020 grazie all’amicizia con Giovanni Iacoi, segretario nazionale di LeS, che avevo conosciuto nel 2009, e che ha premuto perché mi impegnassi nel sindacato. Ed è stato sempre grazie a lui che ho conosciuto l’avvocato Eugenio Pini che è considerato “l’avvocato delle divise” perché vince sempre. Attualmente sono sospeso dal servizio dallo scorso 5 ottobre per tre mesi, fino al 5 gennaio, perché ho due procedimenti disciplinari in corso. Il primo riguarda il fatto che, in veste di sindacalista, nel gennaio 2022, ho reso dichiarazioni contro il presidente del Consiglio Draghi che ha imposto l’obbligo vaccinale che ho rifiutato per libera scelta tanto che sono stato sospeso dal servizio per tre mesi fino a quando è stato tolto l’obbligo per le Forze dell’Ordine. La motivazione? Perché le mie dichiarazioni non erano “suffragate da veridicità sul presidente del Consiglio e sui membri dell’Esecutivo e del Parlamento”. Invece il presidente Draghi, alla fine del 2021, in conferenza stampa, aveva dichiarato che l’attuale situazione sanitaria in Italia era tutta colpa dei No Vax, e questo mi aveva profondamente indignato e sono intervenuto pubblicamente nella mia veste di sindacalista. Ho fatto ricorso al Giudice del Lavoro perché non mi hanno voluto riconoscere le guarantigie sindacali ed il prossimo 22 dicembre ci sarà l’udienza. Il secondo procedimento è del Consiglio di disciplina che ha proposto la mia destituzione perché ha rilevato sulla pagina Facebook della Segreteria LeS di Caserta 41 miei post che ho pubblicato come attività sindacale in quanto ho “utilizzato mezzi di comunicazione idonei a rendere conoscibile il proprio pensiero”. Il mio caso è stato anche oggetto di un Question time al Senato, lo scorso 30 giugno, da parte della senatrice Biancalaura Granato del Gruppo misto, ma l’ex ministro dell’Interno Lamorgese ha definito le mie affermazioni “lesive”.
Risarcimento danni
Innanzitutto le parcelle degli avvocati dovranno essere pagata dal Ministero dell’Interno come previsto dal Regolamento per fatti avvenuti durante il servizio e quando c’è l’assoluzione con formula piena. L’avvocato Cavarretta ha già presentato la sua parcella mentre tra breve arriverà quella dell’avvocato Pini ma la loro congruità dovrà essere confermata dall’Avvocatura dello Stato. Al poliziotto Antonio Porto dovranno essere risarciti i cinque anni di stipendio non percepiti, gli dovrà essere ricostruita tutta la carriera bloccata per vent’anni, gli dovranno essere conteggiate tutte le indennità equiparate al grado che avrebbe raggiunto durante questo lunghissimo periodo. Inoltre, per la lungaggine del processo, Antonio Porto avrà diritto al risarcimento di una indennità prevista per ogni anno in più rispetto alla norma stabilita dalla Legge Pinto che prevede la conclusione dei processi di Primo grado in 3 anni, mentre il suo è durato dal 2003 al 2018, quelli di Secondo grado entro due anni dopo il Primo grado e quelli di Terzo grado entro un anno dopo il Secondo grado. Inoltre, gli dovranno risarcire i danni per l’ingiusta detenzione di 15 giorni e per tutti i danni biologici e morali subiti in questo ventennio da incubo.
Uno spreco di denaro inutile
L’accusa di Antonio Porto è circostanziata perché “si sarebbe potuto evitare tanto spreco di denaro se si fossero analizzati i fatti fin dal primo giorno”. Ovvero che il giovane tossicodipendente ha cambiato più volte versione risultando inattendibile ed il fatto che avrebbe potuto essere allontanato con il suo collega dalla Città di Crotone per “incompatibilità ambientale” nei confronti del giovane. “E’ curioso – racconta Antonio – che lo stesso Gip che ha disposto i miei arresti domiciliari, un anno dopo il mio caso, nell’ottobre 2004, ha mandato in carcere questo giovane che minacciava sempre altri poliziotti che lo fermavano di far fare loro la stessa fine che aveva fatto fare a me ed al mio collega. Purtroppo in Italia – spiega Antonio – non è prevista una responsabilità civile né verso i giudici, né verso i magistrati. Il giudice del Tribunale di Crotone, nella sentenza di Primo Grado del 2018 ha dichiarato che una personalità tossicodipendente è sì inattendibile ma lui, in quel caso, lo ha ritenuto credibile perché non avrebbe avuto motivo di inventarsi il tutto mentre i poliziotti che avevano testimoniato a nostro favore avevano motivi per dichiarare il falso per aiutare me ed il mio collega. Per cui ha trasmesso gli atti alla Procura per falsa testimonianza ma la Procura non ha mai indagato”.
D’ora in poi: solidarietà
Antonio Porto ha deciso di mettere a disposizione di tutti i colleghi che possano subire discriminazioni sul posto di lavoro la sua lunga esperienza “per non lasciarli soli”. “Sulla pagina FB “LeS Polizia di Stato Caserta” abbiamo pubblicato il numero di telefono 342 717 3838 a cui possono rivolgersi tutti i nostri colleghi in difficoltà – spiega Antonio – . Inoltre abbiamo stipulato una convenzione con l’avvocato Eugenio Pini per una parcella ordinaria scontata del 40 per cento da proporre a tutti i nostri colleghi bisognosi di un aiuto legale”.

Beatrice Bardelli, giornalista, vive a Pisa dove si è laureata alla Facoltà di Lettere in Lingua e Letteratura tedesca (indirizzo europeo). Iscritta all’O.d.g. della Toscana dal 1985, ha collaborato con numerose testate tra le quali Il Tirreno, Paese Sera, Il Secolo XIX, La Nazione e L’Unione Sarda. Si è occupata di cultura, spettacoli – teatro e cinema, ambiente, politica, società e salute. Dal 2000 attivamente impegnata nelle lotte dei vari movimenti e comitati a difesa dell’ambiente e della salute, dell’acqua pubblica e contro il nucleare, collabora con la Rete per la Costituzione.