di ALDO BELLI – Teatro Regio di Torino /1 – L’audizione del Commissario Purchia, un Teatro abbandonato al potere e al volere romano.
Ho ascoltato in diretta l’audizione del Commissario Rosanna Purchia alla Commissione Cultura del Comune di Torino, e la sensazione che ho ricevuto è stata il vuoto. Mi ha fatto ricordare un mitico elzeviro di Mario Melloni, Fortebraccio: tutti attendevano l’arrivo dell’onorevole, l’auto blu finalmente arrivò, l’autista aprì lo sportello, ma non scese nessuno.
Dopo avere studiato il curriculum del Commissario Purchia mi aspettavo di trovarmi di fronte ad una Lady di Ferro, tenuta in vita artificiale dietro le quinte del catto-comunismo italiano sopravvissuto al Golpe che ha cancellato la Prima Repubblica. Invece, appunto, il vuoto. Del resto, non mi sono molto meravigliato: considerando che sono il vuoto di idee e il pieno di potere che contraddistingue la casta politica che governa l’Italia ormai da decenni.
Il Teatro Regio di Torino è la Storia d’Italia. In verità, dovrei dire altrettanto della città di Torino se non fosse stata distrutta nella sua dignità nazionale e internazionale nell’ultimo quarto di secolo: lo vedete voi, Camillo Benso Conte di Cavour che si fa commissariare dallo Stato Pontificio? Ma senza andare troppo in grande, avrei voluto vedere i Milanesi se qualcuno al di fuori di Milano si fosse permesso di commissariare da Roma il Teatro alla Scala. A Torino, invece, è successo. La Capitale d’Italia, la città di Luigi Einaudi e Gianni Agnelli, di Piero Gobetti e Antonio Gramsci, di Franco Antonicelli e di Norberto Bobbio, la Torino di Cesare Pavese e Primo Levi, di Alberto Ronchey, di Rita Levi Montalcini. Perfino Mussolini dovette trattare con Giovanni Agnelli per avere il permesso di recarsi a visitare la Fiat. Invece, è successo. Il sindaco Chiara Appendino che aveva promesso ai torinesi e agli italiani di mettere una pietra sul potere culturale del comunismo degenerato e consolidato torinese, è rimasta nella trappola dell’Abbraccio Mortale consumato con il cambio del governo nazionale, Susanna Agnelli al suo posto avrebbe difeso Torino.
Ho letto da qualche parte che il Commissario Purchia ha bacchettato i consiglieri comunali durante la sua audizione. Francamente, l’unica bacchetta che ho visto è stata quella di una maestrina, come quelle supplenti che arrivano in classe dandosi un tono per dimostrarsi all’altezza del compito. A lei non interessa il passato, lei guarda al futuro. Peccato che il futuro del Teatro Regio non possa prescindere da fare i conti con il passato dei debiti e delle modalità di gestione: incluso quei 10 milioni di euro, mancanti in bilancio, improvvisamente venuti alla luce sui quali l’ordine del Potere Romano è quello di tacere. La Reginetta dei Teatri si è mostrata sbalordita dinanzi alla domanda di un consigliere comunale che le chiedeva l’accesso ai verbali del collegio dei revisori dei conti: “è la prima volta che mi capita una domanda del genere”, cito a memoria. Come darle torto: avete mai visto un suddito a corte che si permette di chiedere a Sua Maestà un bicchiere d’acqua? Che impudente quel consigliere comunale Petrarulo a rivolgere certe domande!
Questo articolo è solo l’inizio del racconto che andremo a pubblicare. Per cui mi fermo qui, sollevando il primo grande tema di principio: la dignità della città di Torino impone che la gestione del Teatro Regio rientri nelle mani del suo legittimo proprietario, i Torinesi.
Gli errori decennali che sono stati commessi dei quali rende conto il bilancio, l’indagine giudiziaria, insomma tutto il male che volete, non giustifica la rinuncia all’onorabilità di Torino. Il Teatro Regio è parte della storia dell’opera lirica italiana. Nel bene e nel male non esiste ragione per la quale Torino mostri al mondo la propria incapacità di gestire le proprie cose. E se, dunque, è vero che si tratta della onorabilità di una città, allora non esistono maggioranze e opposizioni: c’è solo il Consiglio Comunale unica voce dei torinesi. Vedremo se avrà il coraggio morale di rispedire la Reginetta nello Stato Pontificio dei due papi Franceschini e Nastasi. In fondo, a tutti è concessa una seconda chance: anche al sindaco Chiara Appendino.