Teatro Regio prima udienza, aggiornata al 16 settembre

di ALDO BELLI – L’INTRIGO DEL REGIO 10. La linea accusatoria del pubblico ministero concentrata su Graziosi mostra qualche crepa.

Ieri si è tenuta la prima udienza del processo sul Teatro Regio di Torino. Ho atteso questa mattina per scrivere, volevo leggere prima quello che sarebbe stato pubblicato sui giornali. Di questo passo, finirò per correre il rischio di passare come un difensore dell’ex sovrintendente del Regio William Graziosi.

Colgo pressoché generalizzata l’immagine del “Processo a Graziosi”. Il che, mi pare coerente con la Campagna Sbatti il Mostro in Prima Pagina puntualmente ripetuta da mesi. I casi sono due: o i colleghi giornalisti che si occupano della vicenda sono partecipi della Casta dei Teatri: e lo escludo; oppure, in loro permane l’errore di fondo di non cogliere di cosa si tratta a Torino: e questo mi convince.

Tutti, dall’informazione alla magistratura, alla Lega o Fratelli d’Italia (per dire dell’opposizione politica) credono che la corruzione (l’uso a scopi privati di una carica pubblica profittando del denaro dei cittadini) riguardi in Italia solo i rifiuti e la sanità. Invece no, c’è anche la cultura. Oltre 500 milioni di euro di debiti suddivisi in 14 Fondazioni Liriche (ai quali si aggiungono i Festival) non sono sufficienti per aprire gli occhi? Le decine di milioni di euro che il Ministero della Cultura ha sparso sulle fondazioni con la scusa della pandemia per fini che con la pandemia non avevano niente a che fare, è normale? Le nomine dei sovrintendenti e direttori artistici che finiscono con i medesimi nomi passando da un Teatro all’altro, non dicono nulla? Potrei aggiungere anche il modo in cui Comuni e Regioni finanziano la Cultura senza alcun controllo sull’effettivo esito dei contributi.

Abbiamo reso pubblica l’ispezione sul Teatro Regio del Ministero delle Finanze, l’intercettazione telefonica di un ex Ministro della Cultura che tutt’ora ricopre una carica pubblica nazionale (potrei aggiungere le prove della gestione privata del Festival Puccini di Torre del Lago), il numero dei documenti ormai non si conta più, e senza alcuna pretesa di gloria o la puzza dei primi della classe: acqua liscia per il giornalismo che dovrebbe essere il cane guardiano della democrazia e della legge. E’ evidente che qualcosa in Italia non quadra.

La corruzione è un reato che si realizza non solo attraverso l’illecito della tangente, è sufficiente il profitto di una utilità personale tra chi nomina e chi è nominato che viola l’imparzialità della pubblica amministrazione, la trasparenza pubblica, l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte allo Stato.

Penso sia questo il motivo per cui questa mattina si ripete sui media il “Processo a Graziosi”. E forse, è lo stesso motivo per cui la Procura della Repubblica di Torino ancora non ha sentito la necessità di chiedere al giudice il rinvio a giudizio di quanti hanno concorso al fallimento finanziario del Teatro Regio di Torino (del quale, appunto, non può essere imputato il Mostro Graziosi).

Penso sia questo il motivo, per cui non si vede che il processo di Torino rappresenta in realtà un Processo alla Casta dei Teatri. E che da lì il virus della verità potrebbe esplodere e replicarsi in tutta Italia (lo stesso dicasi sul Festival Puccini di Torre del Lago).

Nell’udienza di ieri è stato sufficiente per il giudice delle udienze preliminari chiedere al pubblico ministero il riscontro materiale delle presunzioni per far vacillare quello che i colleghi giornalisti hanno chiamato “Il Sistema Graziosi”. E questa è la riprova dell’errore di fondo. Ciò che emerge dalle indagini svolte dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza (degno di lode per il livello di professionalità e correttezza) è lampante. Come lo sono le carte depositate presso la Corte dei Conti del Piemonte. Sarebbe un vero peccato per il Paese, non solo per Torino, che tutto questo lavoro della GdF finisse nel dimenticatoio degli armadi.

Sì, siamo di fronte ad un “Sistema Graziosi”, ma nel senso che l’ex sovrintendente sotto accusa è un paradigma del sistema: come attore o come vittima. E’ questo che non si vede, e che il Potere vuole nascondere. Perché se Graziosi venisse condannato, si porterebbe dietro non solo il monopolio degli agenti teatrali; in caso di assoluzione, invece, sarebbe la conferma che è stato vittima di un Sistema solo per il fatto che non ne faceva parte. Dunque, in un modo o nell’altro, il punto vero non è Graziosi: è la corruzione di un sistema politico e di gestione pubblica dei Teatri in Italia.

Per Priscilla Alessandrini e Andrea Paolo Maulini, (gli indagati per l’affidamento del marketing) la vicenda, di fatto, si è chiusa ieri con la richiesta di patteggiamento: per due pesci fuor d’acqua in tutta questa tempesta, i loro legali l’hanno considerato la soluzione migliore per non rimanere impigliati in una rete della quale, in fondo, sono stati solo occasionali comparse.

Per Ariosi, Graziosi, e Roberto Guenno, si riprenderà il dibattimento il 16 settembre, data nella quale è stata aggiornata l’udienza e il GUP avrà approfondito le eccezioni dell’avvocato Emilia Rossi, legale di Graziosi, sulla competenza del Tribunale di Torino in ordine ai reati che si sarebbero consumati a Jesi e ad Astana.


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