di ALDO BELLI – Della voragine di 10 milioni di euro meglio non parlare, parola d’ordine salvare la faccia del Potere del PD torinese
Può darsi che mi sia perso qualche puntata, ma leggendo la cronaca su Torino di questi giorni ho la sensazione che la regìa abbia scelto alcuni tagli della sceneggiatura. La voce degli attori è autorevole, e non solo quella del commissario Purchia, però mi giunge sfocata (oppure, secondo la visuale: eloquente).
“La censura è un modo di conoscere la propria debolezza e insufficienza intellettuale. La censura è sempre uno strumento politico, non è certo uno strumento intellettuale. Strumento intellettuale è la critica, che presuppone la conoscenza di ciò che si giudica e combatte. Criticare non è distruggere, ma ricondurre un oggetto al giusto posto nel processo degli oggetti. Censurare è distruggere, o almeno opporsi al processo del reale”. L’ha scritto Federico Fellini (“Appunti sulla censura” in La Tribuna del Cinema, n° 2, agosto 1958). La censura si realizza sempre in due modi: per ordine del Potere, cioè di chi paga lo stipendio; e per l’istinto del leccaculo, che ancorché apparentemente libero e indipendente, celebra la propria vanità per essere riconosciuto dal Potere (la prima categoria può variare nel tempo i propri rappresentanti; la seconda, invece, si adatta al culo di turno).
Torino. Per alcuni mesi abbiamo assistito al tiro al piattello nei confronti di William Graziosi, Alessandro Ariosi, e Roberto Guenno: una palestra alla quale non hanno partecipato il procuratore aggiungo Enrica Gabetta e il pm Elisa Buffa, titolari dell’inchiesta, le quali hanno solo adempiuto al dovere che la Costituzione gli impone di fronte a segnalazioni di reato ritenute sufficienti per aprire un fascicolo. Nessuno l’ha fatto notare, e io voglio farlo: un’inchiesta gestita con la riservatezza che fa merito ad un magistrato. Come finirà saranno loro a stabilirlo e nella loro indipendenza.
Il tiro al piattello della Grande Informazione si spegne improvvisamente intorno alla metà di luglio 2020. Cosa accade in quei giorni? La Stampa pubblica un articolo (a firma di Cristina Insalaco) con il titolo: “Perdite per 7 milioni, il buco del Teatro Regio di Torino è una voragine”, che poi risulteranno circa 10 milioni. Va da sé che non può essere stato Graziosi ad avere trinciato in quel modo il bilancio del Regio (è arrivato Sovrintendente ad aprile 2018 ed è uscito nella primavera 2019, se fosse stato lui l’autore l’avrebbero subito gettato nella Genna). Dunque, la musica cambia: perché lo spartito di quei dieci milioni suona una (tragica) melodia che risale indietro negli anni.
Il buco svelato, quindi, non ha niente a che vedere con la presunta corruzione Graziosi-Ariosi-Guenno. Non si può escludere, tuttavia, che l’indagine giudiziaria partita da una vicenda personale, strada facendo si sia imbattuta in un guaio assai più grande: il buco ultramilionario nascosto per anni in bilancio (non capirei, diversamente, perché le titolari dell’indagine abbiano sentito il bisogno di ascoltare anche la Compagnia San Paolo, socio della Fondazione Teatro Regio di Torino, ma estranea alla sua gestione diretta).
Andare indietro di qualche anno (essendo il buco di bilancio ormai stagionato) significa inevitabilmente tirare in ballo qualche persona in più del trio Graziosi-Ariosi-Guenno: e qui, come suol dirsi, casca l’asino. Chi era sovrintendente prima di Graziosi? Walter Vergnano, per 19 anni consecutivi. Chi era sindaco di Torino (quindi, presidente della Fondazione Teatro Regio) prima di Chiara Appendino? Piero Fassino (2011-2016) e Sergio Chiamparino (2001-2011). Quale era il sindacato che fino all’arrivo di Graziosi deteneva un ruolo dominante tra i lavoratori nel Regio? La CGIL o come si chiami più esattamente. Insomma, se due più due fa quattro, dal vaso (casualmente) scoperchiato con l’inchiesta giudiziaria esce fuori il potere politico sulla cultura a Torino da decenni targato PD. E questa, non è un’illazione: ma una constatazione politica, senza niente addebitare a nessuno personalmente se non, appunto, la responsabilità politica nella gestione del Regio e dunque del buco di 10 milioni di euro (se vi saranno anche responsabilità di altro tipo, non sta a me stabilirlo). Chi ha nominato il commissario Purchia? Il ministro Franceschini, capodelegazione PD nel Governo, con il direttore generale Salvo Nastasi.
Apro una parentesi. Non escludo che qualcuno più avveduto avesse già consapevolezza del buco. Ad oggi rimane ancora un mistero politico l’abbandono della candidatura di Giancarlo Del Monaco a sovrintendente già benedetta dal sindaco Appendino; qualcuno suggerì, forse, all’ultimo chilometro che Del Monaco di fronte a quella voragine non sarebbe stato ‘gestibile’ come invece potrebbe essere stato garantito per Graziosi l’Ascensorista? Il quale, a quanto pare, pur ascensorista, tanto gestibile non dovette poi rivelarsi se per prima cosa volle mettere mano ad un piano industriale del Teatro. In questa Ombra del Sovrintendente rimangono, or bene, Del Monaco che viene nominato di fatto dal sindaco Appendino e poi abbandonato senza una motivazione e senza ricevere neppure una telefonata; e Graziosi che riceve una telefonata di convocazione dall’Appendino la quale seduta stante lo nomina sovrintendente senza che Graziosi l’avesse mai conosciuta prima di allora. Fine parentesi.
Torniamo alla cronaca del dopo metà luglio. Bel problema! Non aveva altro da fare quel giorno la Cristina Insalaco? E adesso come facciamo a cambiare piattello nel tiro al bersaglio?
Questi mesi hanno registrato un’assordante silenzio politico: se escludiamo i parlamentari Cinque Stelle (ma in verità, non sul bilancio), nessuno ha fiatato dai banchi della politica. Almeno stando alla cronaca. Neppure sulla decisione risolta in ventiquattr’ore di commissariare il Regio. A nessuno è venuto il dubbio (neppure ai commentatori) che proprio in un momento di crisi come quello provocato dal lockdown fosse utile per il Teatro una guida professionalmente autorevole e rappresentativa della città per gettare le basi della sopravvivenza produttiva e del prossimo futuro; nessuno ha avuto il coraggio di elevare una voce in nome della dignità di Torino, facendola umiliare con la nomina di un commissario come se i torinesi non fossero in grado di gestire le cose proprie e tra queste uno dei suoi gioielli più importanti come il Teatro Regio. Non l’hanno elevata i politici questa voce, ma neppure l’informazione.
Era prevedibile, quindi, come ben eloquentemente si coglie nella cronaca torinese di questi giorni, che si mettesse una bella pietra sopra il vaso di Pandora del Regio. E allora, vai con il dinamico duo del Regio che addirittura riuscirà a chiudere in pareggio il bilancio 2020! glissando sulla mancanza di costi della produzione e pure dei dipendenti trasferiti sulla cassa integrazione. Ma soprattutto: non parliamo del buco! non domandiamo di fare conoscere ai torinesi come sono stati generati quei dieci milioni di euro che mancano all’appello! non chiediamo che ciascuno risponda delle proprie responsabilità di gestione! Lasciamo perdere. Anche se il fascicolo del Teatro fosse stato già trasferito dalla Procura della Repubblica di Torino alla Corte dei Conti; o se una ventina di destinatari (e venti è più di tre) avessero ricevuto in questi giorni una lettera di messa in mora per il disastro finanziario del Regio avendo ricoperto incarichi pubblici nella Fondazione e a Palazzo Civico. Parola d’ordine, come scriveva Federico Fellini: “opporsi al processo del reale”.
In fin dei conti, cosa ha detto il commissario Purchia alcuni giorni fa? “Non mi sentirei preoccupata”. Il ministro Franceschini, ovvero il PD, sarebbe in procinto di inserire 20 milioni di euro per il Regio di Torino. E così il cerchio si chiude, sulle tasche dei contribuenti e cittadini italiani. La faccia del PD torinese è salva (e a ruota anche quella dei 5Stelle obtorto collo). Sempre che non giunga fuori qualche sorpresa dalla Procura della Repubblica di Torino.