Tribunale di Perugia: “No Vax” è diffamazione

di BEATRICE BARDELLI – E’ un’accezione dispregiativa e razziale verso le persone che sono state fatte oggetto di censura sociale.


Sempre puntuale, la nostra Beatrice Bardelli offre ai lettori una notizia passata sotto tono. L’utilizzo dilagato nei mezzi di comunicazione e nel linguaggio politico del termine “No Vax” come epiteto equivalente agli untorelli del Manzoni, che durante la peste di Milano del 1630 furono sospettati di diffondere il contagio e contro i quali si scatenarono l’ira popolare e le persecuzioni giudiziarie, ha ricevuto in un tribunale della Repubblica la sua giusta definizione. Nel corrente mercato del becero è un fatto significativo. Detto ciò, tengo a dire che sono contrario alle querele per diffamazione, nel diritto anglosassone avanzato non esiste diffamazione verso chiunque ricopra una carica pubblica. La libertà di espressione vale per tutti, anche per chi la patisce al quale è consentito il diritto di replicare pubblicamente in uguale maniera. In Italia si registrano quasi 7.000 procedimenti per diffamazione a mezzo stampa ogni anno, oltre 300 in Toscana. Non è un caso che nella classifica della “Libertà di stampa nel mondo” l’Italia si trovi al 41° posto”. (AB)


Finalmente giustizia è fatta! D’ora in poi chi si permetterà di dare del “No Vax” a chi ha deciso di non vaccinarsi contro il Covid-19 per sua libera scelta dovrà stare molto attento a non incorrere in una denuncia per “diffamazione”. Lo ha deciso recentemente il Tribunale penale di Perugia che ha condannato per diffamazione aggravata una giornalista del quotidiano La Repubblica per aver dato del “No Vax” a un Giudice del lavoro del Tribunale di Velletri che, il 14 dicembre 2021, aveva emesso un’ordinanza con cui disponeva, in via cautelare, la reintegra al lavoro di una infermiera non vaccinata.

Come spiega l’avvocato Angelo Di Lorenzo, presidente dell’associazione “Avvocati Liberi”, sul sito dello Studio Cataldi, la giornalista, già nel titolo dell’articolo del 17 dicembre 2021, si era lanciata in un vero e proprio attacco denigratorio nei confronti sia della persona che della funzione pubblica svolta dal magistrato a cui veniva attribuita una personalità No Vax “che, si sottintende, avrebbe in qualche modo favorito la sanitaria ricorrente, “No Vax” anch’ella”.

Perché “No Vax” è un epiteto diffamatorio

Lo spiega bene l’avvocato Di Lorenzo. Il significato etimologico dell’espressione “No Vax”, che designa coloro che si oppongono alla vaccinazione obbligatoria o di massa, nel moderno contesto storico ha assunto una “accezione dispregiativa e razziale attraverso l’associazione al sentimento delle persone contrarie alla vaccinazione anti Covid-19 […] che sono state fatte oggetto di censura sociale, politica e lavorativa attraverso una disinformazione mediatica che li ha collocati nel girone dei socialmente pericolosi per gli interessi pubblici e per la salute collettiva.

Il fenomeno “NO VAX” (o antivaccinismo) è considerato dalla giornalista de La Repubblica e dal comune sentire – anche negli ambiti istituzionali – un’ideologia, ed il “credente NO VAX” sarebbe […] un complottista, un terrapiattista, un eretico da scomunicare meritevole della camera a gas, “un sorcio da rinchiudere”, un soggetto la cui vita andrebbe tolta o resa impossibile da vivere; una persona da segregare, discriminare in campi di concentramento e di sterminio, soggetto da arrestare, parassita fuori legge da trattare alla stregua di un mafioso, di un integralista religioso, di un terrorista da abbattere con il piombo, criminali assassini che devono morire come mosche. Tutte espressioni queste – continua l’avvocato – utilizzate sistematicamente e senza alcuno scrupolo da giornalisti, medici, opinionisti, politici e persone dello spettacolo […].

Di questi tempi l’attribuzione dell’epiteto “NO VAX” trascende il significato etimologico neutro che avrebbe secondo il vocabolario per assumere un connotato dispregiativo verso persone che, per tale caratteristica, dovrebbero essere private dei diritti umani e civili, finanche della vita, per non aver prestato fede incondizionata (come nel caso giudiziario in commento) alla normativa emergenziale nei modi e nei termini voluti dal particolare orientamento ideologico – questo sì – di cui la giornalista de La Repubblica si è evidentemente posta a guardiania.

Ma l’offesa nel caso di specie non si risolveva solo dell’uso del termine NO VAX, perché nell’articolo incriminato il magistrato veniva dileggiato con una pletora di aggettivi, definizioni e affermazioni false e diffamatorie, non solo della sua dimensione personale, ma anche della dimensione funzionale di Giudice del Tribunale di Velletri, accusato di essere l’unico giudice NO VAX della sezione lavoro di quel Tribunale (falso), di essere un giudice ideologico (falso), di essere “fuori dalle righe”, burbero, severo (falso), professionalmente incapace (falso), di aver accorpato da buon NO VAX le udienze in due giorni consecutivi in modo da non fare due tamponi a settimana (falso), di aver rifiutato l’uso delle protezioni in plexiglass nell’aula d’udienza (falso) ed, infine, di aver turbato l’ordine giudiziario del Tribunale di Velletri, scatenando una “bufera” su quell’ufficio, calato in un clima di tensione ed omertà conseguente all’adozione del provvedimento di reintegra (falso)”.

Diffamazione a mezzo stampa

Nel caso in questione, l’epiteto diffamatorio di “No Vax” aveva avuto per oggetto esclusivamente la persona del Giudice e non il provvedimento da lui emesso che la giornalista non aveva esaminato né nei contenuti né nelle ragioni.

“La Suprema Corte – scrive l’avvocato Di Lorenzo – ricorda che «in tema di diffamazione nei confronti di un magistrato, il provvedimento giudiziario può essere oggetto di critica anche aspra, in ragione dell’opinabilità degli argomenti che li sostengono, ma non è lecito trasmodare in critiche virulente che comportino il dileggio dell’autore del provvedimento stesso» (Sez. 5, Sentenza n. 2066 del 11/11/2008 Ud. (dep. 20/01/2009) Rv. 242348 – 01)”. Invece nell’articolo in questione veniva descritta una “figura di magistrato parziale, ideologico, incapace, autore di comportamenti strambi e valutati negativamente da chi lo circondava, dimostrata con fatti e pettegolezzi di corridoio provenienti da fonti anonime qualificate – un sedicente magistrato collega della sezione lavoro o altri avvocati che avrebbero interagito con il magistrato diffamato – la cui identità non è stata svelata o indicata nell’articolo” in flagrante violazione di quanto previsto dalla Corte di Cassazione in tema di utilizzo di fonti anonime che devono essere trattate come ogni altra fonte ovvero controllate  nella loro veridicità (Cassazione civile sez. III del 19 maggio 2011 n. 11004) e attendibilità della fonte (Cass. pen. 2 dicembre 2008, n. 46528; 5 marzo 1992, n. 5545)”.

Nel caso in questione la giornalista de La Repubblica aveva riportato nel suo articolo frasi di un sedicente magistrato della sezione lavoro, rimasto anonimo, che accusava il Giudice di parzialità nell’esercizio della funzione giudiziaria in quanto persona No Vax e ideologicamente orientata e quindi accomunata da una medesima “fede” o “ideologia” all’infermiera non vaccinata il cui caso stava valutando.                                   

Una condanna giusta

“Questo articolo – scrive l’avvocato – è la tipica espressione di come la manipolazione dell’opinione pubblica ed il controllo del dibattito è stato indirizzato da una delle principali fonti di informazione di stampa attraverso la creazione di notizie serventi campagne propagandistiche, come quello nella specie di spaventare la popolazione o allertarla del pericolo costituito dalla reintegra in servizio di una infermiera NO VAX in tempi di pandemia”.

La verità invece era tutt’altra. Se la giornalista avesse prestato attenzione al provvedimento del Tribunale di Velletri – spiega Di Lorenzo – si sarebbe accorta che questo non contestava la normativa emergenziale e l’obbligo di vaccinazione per i sanitari né presentava posizioni ideologiche particolari ma, al contrario, “applicava in maniera rigorosa la legge accertando la violazione del dovere di repêchage (ripescaggio, n.d.a.) incombente sul datore di lavoro ai sensi dell’art. 4 comma 7 DL 44/21 per il trattamento di coloro che non potevano vaccinarsi (comma 2 art. 4 cit.). In altri termini, se la normativa emergenziale prevedeva che il datore di lavoro adibisse a mansioni diverse (purché sicure) coloro che non possono vaccinarsi per motivi di salute, senza decurtazione della retribuzione, in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro, allora anche chi non era vaccinato per altri motivi – ad esempio per scelta – prima di essere sospeso doveva essere per così dire “ripescato” ed adibito a diverse mansioni parimenti sicure”.

No Vax e diritto al lavoro

La pericolosità legale, cioè quella presunta dalla legge per la persona non vaccinata, spiega Di Lorenzo, era la stessa sia per chi non poteva vaccinarsi per condizioni personali sia per chi sceglieva di non vaccinarsi. Dunque entrambi non vaccinati, a prescindere dal motivo e, perciò, entrambi “pericolosi” per essere potenzialmente infettabili e infettanti allo stesso modo, tanto che per evitare effetti discriminatori di situazioni identiche – a tutela del diritto al lavoro quale fonte di dignità umana – si disponeva il reintegro della ricorrente con la prescrizione al datore di lavoro di valutare la possibilità di repêchage della lavoratrice prima di sospenderla.

Conclusione

“Non si è trattato, in definitiva, di una disapplicazione della legge per essere il giudice ideologicamente orientato – conclude Di Lorenzo – quanto piuttosto di una applicazione della legge costituzionalmente orientata al bilanciamento di valori costituzionali di pari grado che venivano involti nella vicenda, quali la salute individuale e collettiva, la sicurezza pubblica, il diritto al lavoro ed alla dignità personale. Per tutti questi motivi la giornalista veniva tratta in giudizio con l’imputazione di diffamazione aggravata ex art. 61 n.10 c.p. – 595 commi 1, 2 e 3 c.p., e per tale delitto condannata dal Tribunale di Perugia”.