Un anno di Governo Meloni, un bilancio realista

di EDOARDO CAPPELLI – Le europee si avvicinano, i fatti dimostreranno se gli italiani daranno ragione alla politica stabilità della Premier.

È passato un anno da quando, le elezioni del 25 settembre 2022, hanno sancito la vittoria della coalizione di centrodestra ed il trionfo del Partito di Giorgia Meloni, che ha guadagnato la maggioranza relativa dei seggi. Questo anno ha visto il governo Meloni tentare di restituire all’Italia un governo che rispecchiasse le idee della maggioranza della popolazione.

Su questo fronte Giorgia Meloni si è trovata di fronte ad un lavoro non banale, in quanto era necessario ricostruire una destra moderna che si ripulisse da tutti gli afflati populisti che l’avevano caratterizzata negli ultimi anni. In questo senso, Fratelli d’Italia e Forza Italia si sono dimostrati sufficientemente all’altezza dei compiti: atlantismo, moderazione, supporto armato a Kiev ed europeismo moderato, volto ad attuare una trazione conservatrice anche a Bruxelles e ad avere una maggiore voce in capitolo sui temi dirimenti: PNRR ed immigrazione su tutti.

Meloni e Tajani hanno dimostrato vicinanza al Partito popolare europeo, alla Von der Leyen, ai liberali di Macron e persino ai conservatori inglesi di Rishi Sunak; il Regno Unito pur non essendo più membro dell’Unione, mantiene una importante rilevanza sia nell’alleanza atlantica che nei rapporti commerciali con i Paesi europei. La Lega di Salvini, invece, si conferma il partito populista, becero ed immaturo che, una volta giunto al governo, non è più in grado di mantenere le promesse elettorali e finisce con l’eclissarsi. La vicinanza alla Russia di Putin e agli euroscettici estremisti di Le Pen ed Alternativa per la Germania, ha visto un Salvini sempre più isolato.

Se la sinistra si dimostra incapace di offrire una alternativa valida al Paese, la Lega si dimostra l’unico vero partito di “opposizione”, pur rimanendo saldamente in maggioranza. Questo perché Salvini vuole provare a conquistare l’elettorato scontento di Meloni, che si aspettava blocchi navali ed uscita dall’Europa, salvo poi schiantarsi crudelmente contro la realtà, quando il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha ricordato che il blocco navale non solo è inapplicabile ma è pure incostituzionale.

Insomma, il populismo non paga mai. Questo lo hanno dimostrato anche le politiche degli anni passati: il bonus 110% voluto da Conte ha generato un buco di circa 100miliardi di euro nelle casse dello Stato, che dovrà essere ripagato con i soldi pubblici dei cittadini. Quota 100 di Salvini, invece, si stima che genererà  un aumento del debito pubblico prodotto dalle pensioni, di circa altri 100 miliardi, rispetto al 2019.

Il governo ha agito rimuovendo bonus e misure assistenziali fallimentari, mentre ha rallentato nell’attuazione dei piani del PNRR, anche se questo è dovuto anche alla burocrazia del Paese, di conseguenza le colpe su questo fronte sono minime.

Dopo la dipartita di Berlusconi, Meloni ha provato a raccogliere i voti dell’elettorato moderato e centrista che, dopo la trazione massimalista del PD prima ed il fallimento del Terzo Polo poi, si è trovato spaesato ed abbandonato.

Probabilmente l’idea della Presidente del Consiglio è la realizzazione di un Partito conservatore liberale e moderno ma con elezioni democratiche per la nomina del segretario nazionale, sul modello di PD e Più Europa. Un modo per superare la vetusta concezione dei partiti “ad personam”, come Forza Italia ed Italia Viva, incentrati esclusivamente sulla figura del leader carismatico.

Con buona pace di tanti allarmisti a sinistra, come Nanni Moretti, questo governo non è fascista. È un governo di destra, che però commette ancora tanti strafalcioni e tante “gaffes” che, più che al fascismo, fanno urlare all’incapacità o al ridicolo. Le uscite del ministro Lollobrigida su “sostituzione etnica” ed “i poveri che mangiano meglio dei ricchi” non si possono sentire in un Paese civile. Lo stesso vale per il ministro Piantedosi, quando dice che la “disperazione [dei migranti] non può mai giustificare viaggi pericolosi”. La ministra Eugenia Roccella ritiene che “l’aborto purtroppo è un diritto”, una falsariga che pone il Paese indietro di quasi mezzo secolo e dimentico di tutte le grandi battute portate avanti dal Partito Radicale di Pannella.

È stato inoltre riformulato, in senso più stringente, il bonus cultura di 500 euro per i diciottenni varato dal Governo Renzi: l’esecutivo non pare interessato a voler raccogliere consensi dai giovani e a voler attuare modifiche serie in ambito scolastico.

Il ministro dell’Economia Giorgetti, invece, pare essere uno dei pochi ad avere fatto un bagno di realtà ed essersi reso conto che le promesse elettorali di aumento delle pensioni ed il rifiuto di attuazione del MES risultano essere controproducenti sul lungo periodo.

Maggiore moderazione e concretezza dai ministri Crosetto e Nordio, quest’ultimo capace di mantenere una linea garantista e obiettiva sul caso Cospito.

Giorgia Meloni, tuttavia, si è dimostrata capace di portare avanti la famigerata agenda Draghi, riuscendo ad attuare una politica di buon senso, a cui manca però coraggio o di inventiva nell’attuazione di riforme importanti. In ogni caso, la Premier ha fatto rimuovere l’Italia dal memorandum con la Cina per la “Nuova Via della Seta”, sottoscritto dal Governo Conte I, ribadendo il posizionamento atlantico ed europeo dell’Italia, lontano dalle autocrazie orientali.

Non sono mancati però i passi falsi: un governo che si professa liberale non tassa gli extra-profitti delle banche (facendo storcere il naso proprio ai liberali di Forza Italia), non incomincia a fare le guerre ai “rave party” e cerca di attuare una soluzione logica per quanto riguarda concessioni balneari e licenze taxi. Su quest’ultimo punto il governo pare lontano dall’attuare la direttiva Bolkestein, richiesta dall’Europa ed una generale liberalizzazione del mercato, più per tutelare un certo bacino elettorale che non per miopia di fronte alle reali necessità del Paese.

Il ministro delle imprese e del “Made in Italy” Adolfo Urso ha detto in più circostanze di volersi battere contro le multinazionali che volessero investire nel Paese, questo dovrebbe tranquillizzare chiunque temesse una qualsivoglia deriva “liberista” dell’esecutivo: quello di Meloni è un classico governo social-conservatore, che non garantirà crescita economica nel lungo periodo. Non porterà nemmeno avanti battaglie sui diritti civili ma nessuno se le sarebbe dovute aspettare da un esecutivo marcatamente conservatore-anche se il reato universale della “Gestazione Per Altri” è una soluzione assurda e demagogica, considerando che la GPA era già reato in Italia.

Insomma, il governo Meloni non sta sorprendendo: sta attuando un programma di una destra statalista e corporativa, certamente non mercatista e liberale ma almeno distante -per ora- dai rigurgiti sovranisti e populisti di Ungheria e Polonia. Sta alternando programmi politici di buon senso a proposte frutto di miopia ed ideologia. In politica estera, tuttavia, si sta dimostrando un interlocutore degno sia verso gli Stati Uniti, per quanto riguarda la questione Ucraina, sia per quanto riguarda Bruxelles e Parigi, per la questione dell’immigrazione irregolare; il tutto senza però stravolgere lo status quo.

Giorgia Meloni non sarà ricordata come la nostra Thatcher, non attuerà riforme che si ricorderanno nella storia ma probabilmente sarà ricordata come un valido baluardo verso una opposizione confusa e demagogica.

Massimo d’Alema, padre putativo di questa sinistra, sostiene che le autocrazie sanguinarie di Cina e Russia si battano per un mondo più giusto.

Giuseppe Conte non ha il coraggio di criticare Putin ma addita tutte le colpe della guerra a Zelensky e difende a spada tratta una riforma fallimentare sotto ogni punto di vista, come il sopracitato bonus 110, capace di aiutare nella ristrutturazione delle villette dei ricchi con i soldi dei poveri.

Elly Schlein si rifiuta di alzare le spese militari richieste dalla NATO e propone salari minimi e settimana lavorativa di 4 giorni, soluzioni che non miglioreranno le condizioni di vita dei lavoratori e danneggeranno soltanto la produzione.

I liberal-democratici, d’altro canto, sembrano lasciati a se stessi ed incapaci di unirsi per dare una opposizione seria a questo governo, di conseguenza Meloni, pur nei suoi errori, pare l’unica attualmente in grado di garantire stabilità al Paese.

Il futuro per il governo si prospetta incerto: se Giorgia Meloni sarà capace di attuare una riforma della giustizia in senso garantista, una riforma costituzionale su modello presidenzialista ed il reintegro della produzione di energia nucleare, si potrà parlare di un governo che avrà lasciato un segno positivo nella storia della Repubblica italiana, altrimenti verrà ricordato come un esecutivo pavido e incapace di attuare riforme destinate ad incidere sul lungo periodo.

Le europee si avvicinano, i fatti dimostreranno se gli italiani daranno ragione alla politica stabilità della Premier oppure no.

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