di FRANCO ALLEGRETTI – Come le banche nel 1300, quando alla rivolta dei Ciompi seguì la fine dei sistemi repubblicani e comunali.
Ora che i giochi si sono conclusi, ed in parte acquetato il ciarlare quotidiano, alcune considerazioni. Che la crisi del Governo Conte sia stata pianificata da tempo appare chiaro ed inequivocabile. Da quando? Da dopo l’estate, probabilmente. Quando si era, cioè, definita e concretizzata questa montagna di soldi che l’Europa è stata costretta a finanziare per la martoriata economia di questo continente. Il Distruttore ha iniziato ad agitare le acque, ad avanzare richieste, facendo dire a suoi ministri che il Governo lavorava male, e quindi anche loro stessi. La ministra Bellanova si auto-giudicava come insufficiente. Poi abbiamo assistito alla “di vino commedia” della fiducia. Il governo la ottiene alla Camera e anche al Senato con l’astensione dei Distruttori. Non è una fiducia piena. E qui entra in scena l’arbitro che da subito (come è nel costume sportivo italiano) non fa l’arbitro, ma il centravanti: con un governo in carica e fiducia dalle Camere vuole l’assicurazione di una maggioranza ampia.
L’art.94 della Costituzione garantisce che anche a fronte di un “voto contrario di una o d’entrambe le Camere su una proposta del Governo non importa obbligo di dimissioni”
Lì assistiamo al primo strappo della Costituzione. Il Presidente Mattarella doveva rimandare il Governo Conte alle Camere e stanare il Distruttore e costringerlo a votare a favore o contro. Cioè: in una delle due Camere, dove votare espressamente la non fiducia al governo Conte. Viceversa, appena Conte si dimette, anche in ossequio ai rilievi del Presidente, che fa Mattarella? Lo rimanda alle Camera? Gli dà un nuovo incarico per ricomporre la sua maggioranza in ossequio ad una maggioranza alla Camera? Nulla di tutto questo. Incarica il Presidente della Camera con un mandato perlustrativo.
E’ chiaro che in questo modo, non essendo Fico un Presidente Incaricato, ha una forza di convincimento ridotta verso la coalizione uscente. Ed infatti il tentativo Fico naufraga.
A questo punto abbiamo la più ampia rottura istituzionale che si ricordi a memoria della nostra giovane e fragile democrazia parlamentare. Mattarella non incarica un esponente del raggruppamento maggioritario, ma il prof.Mario Draghi: esterno all’espressione della democrazia rappresentativa. Se fate memoria, fu un’obiezione che molti sollevarono quando Napolitano incaricò Monti, e Napolitano per ovviare (molto parzialmente) lo elesse senatore a vita. Per Draghi neppure questo.
Draghi, sostiene inoltre che il governo sia “non politico”. E questo è veramente curioso in quanto il governo per entrare nelle sue funzione deve avere la fiducia delle Camere dei rappresentanti del popolo elettore, e quindi politico. Ma soprattutto di alto profilo. Come se i precedenti governi non lo fossero. Tutti i governi eletti sono di “alto profilo”. Quelli nominati no.
Ma al di là di questo svolgimento della crisi più inverosimile della storia repubblicana, penso che ai più sia sfuggita una riflessione più ampia. Da parte delle ultime Presidenze della Repubblica emerge la convinzione che la nostra democrazia parlamentare sia giunta ad un capolinea storico, Come nella seconda parte del 1300: le grandi banche fiorentine furono costrette ai fallimenti in quanto le monarchie non riuscivano più a rifondere i prestiti ottenuti, proprio a Firenze si assiste a due grandi avvenimenti: nel 1378 alla rivolta, breve ma sbalorditiva, dei Ciompi e poi alla fine dei sistemi repubblicani e comunali.
Le repubbliche persero la loro possibilità di essere riconosciute come modelli vincenti e lasciarono il passo alle Signorie, e in particolare a Firenze all’avvento del lungo periodo dei Medici: banchieri, che proprio per resistere e sopravvivere si trasformarono in Stato.
Tutti i confronti storici sono sempre suscettibili d’interpretazione con il senno di poi, tuttavia come non vedere in comune, il tentativo (o la necessità storica) di trasformare il sistema bancario in Stato. Così, oggi come allora occorre disfarsi dei governi repubblicani.
Gli attuali parlamenti hanno perso la loro carica di rappresentatività (il rapporto tra eletto ed elettori) e registrato l’avvento di anomalie disorientanti, pericolose ed soprattutto incontrollabili. Un altro obiettivo delle “nuove signorie” è sicuramente è quello di neutralizzazioni queste ‘anomalie’: con questa legislatura l’effetto dirompente (nel male e nel bene) della Lega e dei 5 Stelle è stato sterilizzato. Sia Salvini che Grillo, per entrare nel Consiglio del Principe sono stati costretti a pronunciare solennemente la loro abiura: un po’ come successe nel lontano 1077 ad Enrico IV che si dovette umiliare a Papa Gregorio VII che lo aveva scomunicato.
E così per i Ciompi: la loro anomalia fu presto assorbita nel complicato equilibrio delle corporazioni, e Michele di Lando da capo popolo della rivolta dei Ciompi divenne il principale artefice della distruzione e repressione della corporazione dei lavoratori: per riconoscenza fin nominato “capitano” dei fiorentini nella lontana Volterra.
E’ proprio vero che la storia si ripete una prima volta come tragedia e una seconda come farsa? No, sarebbe troppo grandioso. La storia si limita a eruttare e a farci riassaporare il gusto del sandwich alla cipolla cruda che aveva ingoiato secoli prima.
Franco Giovanni Maria Allegretti è nato e vive a Pisa. Architetto. Con passate esperienze di militanza politica attiva nel mondo dell’estrema sinistra, è stato anche consigliere comunale. Studioso di storia dell’architettura, si è dedicato negli ultimi tempi ad una rilettura degli architetti medievali.