di BEATRICE BARDELLI – Un magistrato militare a Napoli ha dichiarato il “non luogo a procedere” per un militare sprovvisto di Green pass.
Finalmente una sentenza esemplare che fa ritrovare ai cittadini italiani, vessati oltremodo da una gestione barbara della pandemia Covid 19 dei governi Conte/Draghi, quella fiducia nella Giustizia che sembrava perduta per sempre dopo le ultime sentenze della Corte Costituzionale del 2023. Merito di un giudice, Andrea Cruciani, che ha emesso una sentenza che diventerà una pietra miliare nella storia della giurisprudenza italiana.
Andrea Cruciani, magistrato militare, Ph D Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, giudice dell’udienza preliminare del Tribunale militare di Napoli, lo scorso 10 marzo ha dichiarato il “non luogo a procedere” nei confronti di un militare “in ordine al reato ascrittogli di forzata consegna perché il fatto non sussiste”. L’esemplarità di questa sentenza sta nelle motivazioni, puntuali e sostanziate dalla “pregressa costante giurisprudenza della Corte Costituzionale”, ante 2023, che il giudice Cruciani ha esplicitato e sostenuto fermamente nelle venti pagine della sentenza.
L’accusa
Il militare, senz’altro un graduato come si evince dal testo della sentenza, era stato imputato di “forzata consegna” perché “presentatosi in abiti civili” dinanzi al Corpo di guardia della sua caserma, si era introdotto clandestinamente nella struttura “dopo che i militari comandati di servizio di vigilanza […] gli avevano rappresentato che non poteva accedere in quanto sprovvisto della certificazione verde covid 19 (c.d. Green pass) e gli avevano intimato di attendere al varco di accesso l’arrivo dei superiori”. Nonostante ciò, il militare, le cui generalità sono state cancellate nel documento che sta girando in internet, “forzava le consegne dei predetti militari che imponevano di vietare l’accesso del personale sprovvisto del relativo certificato” e “approfittando di un momento di distrazione dei militari addetti al controllo, entrava nella palazzina […], effettuava la vidimazione elettronica della propria presenza in entrata […] ed in uscita […]. Con l’aggravante del grado rivestito”.
Il processo
Il 10 giugno 2022 il PM ha fatto richiesta di rinvio a giudizio. All’udienza del 28 ottobre 2022 il procedimento è stato rimandato in attesa dell’imminente decisione, prevista per il 30 novembre, della Consulta sulla questione di legittimità costituzionale sull’obbligo di vaccinazione per Sars-Cov 2 imposto da due decreti legge sia ai sanitari (n. 44 del 1° aprile 2021) che ai militari (n. 127 del 21 settembre 2021). Lo scorso 10 marzo, mentre il PM insisteva nella richiesta di rinvio a giudizio, la difesa dell’imputato “sollecitava una sentenza di non luogo a procedere con formula di giustizia”. E così è stato. Il giudice Cruciani ha pronunciato il “non luogo a procedere ai sensi dell’art. 425, co. 1°, del Codice penale “perché il fatto non sussiste per difetto del requisito di necessaria offensività della condotta”.
Le motivazioni
Sono tutte tese a dimostrare l’irrilevanza sotto il profilo penalistico della condotta contestata all’imputato per difetto dell’offensività della condotta. Infatti l’imputato non vaccinato e quindi sprovvisto di green pass “non ha determinato alcun rischio maggiore per la salute pubblica rispetto all’ingresso di soggetti vaccinati provvisti di green pass” (pag. 6). Su questo punto il giudice Cruciani apre un’ampia disamina delle recenti sentenze della Corte Costituzionale nel 2023 discostandosi convintamente dalla interpretazione data dalla Consulta sull’obbligo del green pass. La Corte, sostiene Cruciani, ha ritenuto, infatti, “non irragionevole” l’obbligo vaccinale in quanto i vaccini si sono dimostrati efficaci nel prevenire l’infezione da Sars-Cov 2, nell’evitare casi di malattia severe e nel ridurre la circolazione del virus.
I vaccini non prevengono il contagio
A pag. 9 si legge: “questo Giudice intende discostarsi da tale interpretazione, rilevando che i vaccini per SARS-Cov-2 in commercio non sono strumenti atti in alcun modo a prevenire il contagio dal virus. Qui non si discute, peraltro, come e evidente, della idoneità o meno dei vaccini in commercio a prevenire le forme acute della malattia, che è tutt’altra questione, non di interesse per il presente giudizio, bensì della capacità, o meglio della incapacità, di tali vaccini quale strumento di prevenzione del contagio”. Inoltre, spiega Cruciani, la Consulta ha prestato fede all’affermazione dell’ISS (Istituto Superiore di Sanità) secondo cui la vaccinazione anti-Covid-19 costituisce una misura di prevenzione fondamentale per contenere la diffusione dell’infezione da Sars-Cov-2 “anche se l’efficacia vaccinale non è pari al 100%”. “In realtà – scrive Cruciani – l’idoneità dei vaccini attualmente in commercio ad impedire di essere contagiati e di contagiare a propria volta, e quindi quale strumento di prevenzione del contagio, non solo non è pari o vicina al 100% ma si è di fatto rivelata prossima allo zero”.
Compiti del giudice
“Specialmente nella fase iniziale e sperimentale della ricerca scientifica, quindi, prima che il risultato scientifico, con il passare del tempo e la sedimentazione dei dati raccolti, si consolidi, il Giudice è chiamato a verificare […] quale sia tra le varie, l’ipotesi scientifica maggiormente accreditabile, da porre quindi a fondamento del giudizio. Il Giudice quindi non può limitarsi a recepire passivamente e supinamente dei dati scientifici ancora non definitivi e provvisori, sia pure se provenienti dalle autorità nazionali ed internazionali preposte alla ricerca scientifica, con apodittici richiami a tali dati. Nel caso che ci occupa, in effetti, questo Giudice ritiene non provata l’efficacia vaccinale per SARS-CoV-2 quale strumento di prevenzione del contagio – e ciò lo si ripete non solo in una misura prossima al 100% bensì in una qualsiasi misura percentuale superiore allo zero – risultando piuttosto quale fatto notorio, cioè quale dato incontrovertibile emergente dal naturale accadimento dei fatti (id quod plerumque accidit), che i soggetti vaccinati per SARS-CoV-2 possano contrarre e trasmettere contagio e che, di conseguenza, dal punto di vista epidemiologico, vaccinati e non vaccinati, vanno necessariamente trattati come soggetti tra loro sostanzialmente equivalenti” (pagg.10/11).
Un fatto notorio
Alle pagg. 11/12 si legge: “I contagi […] non si sono mai interrotti, nonostante la campagna vaccinale pluriennale; ciò è tanto diffuso […] da essere fatto notorio, perché tutti sanno che i vaccini non impediscono il contagio, quindi vaccinati e non vaccinati sono vettori virali indistintamente; trovandosi in situazioni identiche non è pensabile un trattamento discriminatorio dei non vaccinati”. In conclusione: “La condotta dell’imputato […] non ha leso alcun bene giuridico, non avendo determinato alcun rischio ulteriore per la salute pubblica rispetto all’ingresso di soggetti vaccinati e provvisti di green pass, stante l’inidoneità dei vaccini attualmente in commercio a prevenire la diffusione del contagio” (pagg. 13/14).
La giurisprudenza pregressa della Consulta
Con le sentenze n. 258/1994 e n. 307/1990 la Consulta ha affermato più volte il principio di diritto secondo cui “la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art. 32 della Costituzione se il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi si è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri, giacché è proprio tale ulteriore scopo, attinente alla salute come interesse della collettività, a giustificare la compressione di quella autodeterminazione dell’uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale” (pag. 14). Tuttavia, un trattamento sanitario può essere imposto solo se non inciderà negativamente sullo stato di salute di colui che vi si è assoggettato “salvo che per quelle sole conseguenze, che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiano normali di ogni intervento sanitario e pertanto tollerabili” (pag. 15).
La stessa Consulta (sentenza n. 118/1996) ha puntualizzato che “nessuno può essere semplicemente chiamato a sacrificare la propria salute a quella degli altri, fossero pure tutti gli altri”. L’attuale Consulta invece, con la sentenza n. 14/2023 ha affermato che: “il rischio remoto di eventi avversi anche gravi non possa, in quanto tale, reputarsi non tollerabile, costituendo […] titolo per l’indennizzo”. Un’affermazione che ha trovato l’assoluta contrarietà del giudice Cruciani che scrive che le statuizioni di principio della pregressa giurisprudenza della Corte Costituzionale vadano interpretate “nel senso che la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art. 32 Cost. solo se gli unici effetti negativi prevedibili siano temporanei, di scarsa entità e tollerabili. Giammai quindi allorché effetti avversi gravi, irreversibili o finanche fatali fossero prevedibili” (pagg. 15/16).
Un trattamento disumano
Il giudice Cruciani ha scritto: “Ci si discosta, quindi, con forza dalla recente interpretazione della Corte che ritiene compatibili con il dettato costituzionale dell’art. 32 Cost. anche quei trattamenti sanitari obbligatori che possano provocare effetti avversi gravi, anche fatali. Un trattamento sanitario obbligatorio inteso in tal senso, ad avviso di questo Giudice, violerebbe “i limiti imposti dal rispetto della persona umana” (art. 32 Cost.) risultando disumano. Non può quindi che auspicarsi, sul punto, un pronto revirement (cambio di rotta, n.d.r.) della giurisprudenza della Corte.
Sulla condotta dell’imputato
Dal momento che il giudice “rileva che i vaccini per Sars-Cov-2 in commercio possono causare effetti collaterali gravi, ed anche fatali, in un numero non del tutto marginale ed indifferente di casi”, “La condotta dell’imputato di non sottoporsi alla vaccinazione obbligatoria e conseguentemente di far ingresso in caserma senza esibire il “green pass” quindi è scriminato dalla necessità di salvare sé dal pericolo attuale di un danno grave alla propria persona nel quale l’imputato sarebbe incorso proprio sottoponendosi alla vaccinazione obbligatoria” (pag. 18). Inoltre, scrive il giudice, “l’ingresso dell’imputato nel luogo di lavoro, non ha causato […] neppure un pericolo per la salute degli altri militari”.
Sospensione da lavoro
Il giudice Cruciani si discosta di nuovo da quanto sostenuto dalla Consulta nella sentenza n. 14 del 2023 là dove si afferma che “l’obbligatorietà del vaccino lascia comunque al singolo la possibilità di scegliere se adempiere o sottrarsi all’obbligo, assumendosi responsabilmente, in questo secondo caso, le conseguenze previste dalla legge”. Innanzitutto, spiega il giudice, perché “la sospensione dall’attività lavorativa senza retribuzione alcuna non lascia alcun margine di scelta – e quindi di evitabilità – al lavoratore” (pag. 18).
Una Consulta cinica
Sul tema del diritto al lavoro, il primo dei Principi fondamentali della nostra Costituzione (art. 1: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”), il giudice Cruciani non transige e sferra una durissima critica all’attuale Consulta: “Una tale interpretazione, esasperatamente formalistica e cinica, finisce anche per svilire la centralità che la stessa Costituzione attribuisce al lavoro, quale imprescindibile mezzo di sostentamento e di sviluppo della persona umana”. Perché, continua il giudice Cruciani: “Sul lavoro, infatti, si fonda non solo la dignità professionale ma anche la dignità personale dell’essere umano che vuole mantenersi con le proprie forze, costituendo il reddito da lavoro per lo più il reddito di sussistenza, senza il quale si scivola nel degrado e nella dipendenza” (pag. 19).
Conclusioni
Così conclude il giudice Cruciani: “Il lavoro, quindi, per una persona che intende vivere una vita libera e dignitosa, non è una scelta, bensì una necessità. Non vi è quindi margine di scelta alcuno per il lavoratore, il quale se vuole continuare a sopravvivere dignitosamente, si vede costretto a sottoporsi al trattamento sanitario obbligatorio, essendo previsto, per il caso di non adempimento, la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione. Non altrimenti evitabile quindi anche la condotta di sottrazione a tale obbligo posta in essere dall’imputato – persona non vaccinata e sprovvista di “green pass” – che faceva comunque ingresso in caserma, per svolgere la propria attività lavorativa”.
Qui il testo integrale della sentenza

Beatrice Bardelli, giornalista, vive a Pisa dove si è laureata alla Facoltà di Lettere in Lingua e Letteratura tedesca (indirizzo europeo). Iscritta all’O.d.g. della Toscana dal 1985, ha collaborato con numerose testate tra le quali Il Tirreno, Paese Sera, Il Secolo XIX, La Nazione e L’Unione Sarda. Si è occupata di cultura, spettacoli – teatro e cinema, ambiente, politica, società e salute. Dal 2000 attivamente impegnata nelle lotte dei vari movimenti e comitati a difesa dell’ambiente e della salute, dell’acqua pubblica e contro il nucleare, collabora con la Rete per la Costituzione.