di SALVINO CAVALLARO – Ripensando a Valencia travolta dal fango e doppiamente ferita dagli sciacalli, tra ignoranza umana e oblio.
E intanto il mondo continua imperterrito il suo giro vorticoso tra guerre, odio e il proseguire dell’ego. Oltre 200 vittime, decine di dispersi, 40 arrestati per sciacallaggio e tutti noi, compreso lo scrivente, a guardare inermi la distruzione dell’ennesima sciagura provocata dalla natura che è stata offesa, maltrattata dall’uomo e dal quell’eterno senso egoistico che, nonostante i tanti anni di avvertimenti da parte dei meteorologi, scienziati e di coloro i quali avvertono per prevenire, nessuno ha dato loro ascolto.
Dopo si piangono le vittime provocate da valanghe di acqua e fango che tutto spazza via come birilli. Ma si dà il caso che quelli non sono birilli né pupazzi, ma vite umane, storie, famiglie, padri, madri, bambini, vecchi e tutto in un attimo viene distrutto, compresi gli anni di sacrificio per avere una propria casa che aveva il senso della protezione.
Dice Marta Gomez: “La mia vicina di casa è morta. E’ stata appoggiata sul frigorifero, la casa è piena di fango”. A lei si accompagna il grido disperato di Alejandro Rodriguez: “Ci hanno dimenticati, siamo isolati, senza acqua potabile né elettricità”. E mentre alcuni valenciani cercano di recuperare del cibo ancora commestibile in un supermercato invaso da acqua e fango, la disperazione fa capolino nella gente che gira intorno a quella che era la propria casa, i propri ricordi, le cose più care al mondo che sono sotterrati dalla disperazione, nel chiedersi tra le lacrime cos’è mai questa vita che fa pagare sempre gli innocenti. E quando bisognerebbe unirsi tutti nella solidarietà, c’è sempre chi ha ancora la forza di potenziare lo sciacallaggio, dando l’impronta di ciò che siamo nel profondo di quel pensiero che è “morte tua, vita mia”.
E’ l’aberrazione, è il male che si infiltra senza cuore, quel cuore che invece c’è tra gli angeli del fango. Giovani che, indossati stivali, guantoni, scope, rastrelli e tanto cuore da buttare oltre l’ostacolo, per fortuna ci danno l’esempio che questo mondo può ancora sperare nel segno del bene. Drammi che riviviamo attraverso il dolore, l’angoscia, le lacrime, la disperazione e poi la riflessione di come in questa vita ci sia sempre il male che insegue il bene, facendo in apparenza la parte del più forte.
Ma non può essere che vinca il male, confidiamo sempre che la forza del bene e dell’amore siano capaci di sorreggere il futuro del mondo, nonostante le guerre e l’odio che imperversano come fossero il marchio dell’esistenza umana, incapace di ravvedersi dai propri errori. E mentre ci soffermiamo in queste eterne riflessioni che ci opprimono, pensiamo al momento in cui il fiume ha sorpreso Antonio Tarazona che gli ha portato via la moglie e la figlia di pochi mesi: “Mia moglie e mia figlia sono state trascinate via sotto i miei occhi, chiedevano aiuto ma non ho potuto fare nulla per salvarli”.
Non è un film del terrore, no! Questa è la realtà di ciò che significa l’attimo in cui può accadere qualcosa di grave che ti cambia tutto e resti impotente. E allora pensiamo che senso avrà continuare a vivere per quest’uomo che ha vissuto in prima persona la scena più dolorosa della sua vita. E se a tutta questa sofferenza umana voltiamo le sguardo e lo rivolgiamo alla guerra, causa di morte per volere dell’odio dell’uomo, allora pensiamo che senso ha tutto questo, quando quella vita che è spazzata via dalla tragedia per un fatto naturale è la stessa che provoca l’uomo con la sua autodistruzione.
Sono momenti che ci devono coinvolgere e rendere responsabili del bene e del male, della vita, del mondo, della nostra esistenza.
(foto: licenza pxhere – https://pxhere.com/it/photo/642050)
Salvino Cavallaro è giornalista.