Varcata la soglia dei tribunali, il cittadino è niente

di GIANCARLO ALTAVILLA – La strage ferroviaria di Viareggio, undici anni non sono bastati per emettere un responso e fare giustizia

Non illudiamoci, non è una fake, è proprio accaduto, di nuovo. La giustizia italiana è arrivata troppo tardi, non ce l’ha fatta a giudicare gli imputati del famoso processo della strage di Viareggio, quella in cui hanno perso la vita oltre trenta persone a causa dello scoppio di alcuni vagoni che transitavano nella stazione della città del carnevale. Il fatto risale al 2009, e undici anni non sono bastati per emettere un responso. Tutti colpevoli allora, nessun colpevole con la sentenza di ieri.

Carte, perizie, faldoni, dibattimenti e arringhe, tessere di un mosaico in cui non c’è la dea con la sua bilancia, ma il vuoto dell’incompiuto. Dolore e morte, vite spezzate, vite perdute. Lacrime. Familiari in attesa della verità, del verdetto, della pacificazione civile, quella che dà alle cose il nome e la paternità, infine la responsabilità. La fatica delle udienze, il dolore del dibattimento in aule affollate nelle quali si è diffuso il suono delle accuse e quello delle difese. Il rito incomprensibile, le toghe svolazzanti, nere come ali di pipistrello. Giorni e giorni, mesi. Anni. Giudici, procuratori e avvocati, costruttori di una giustizia che deve conoscere le morti e giudicare i vivi, che deve infliggere pene e pronunciare assoluzioni, che deve affermare il diritto e la legge contro i fatti che li hanno violati, onestamente, rigorosamente, inflessibilmente. La giustizia non mai vendicativa, ma pacificatrice, che accerta e conosce e giudica.

Ai morti di Viareggio e ai loro familiari, ai viareggini e agli italiani, la giustizia non ha saputo dare il sollievo della verità, la pacificazione del giudicato. Perché? Molti, moltissimi dicono e diranno per colpa della prescrizione, che manda impuniti i delinquenti e impedisce alla giustizia di fare il suo corso. Ma non è questa la verità. La verità è che in Italia la giustizia non funziona, è pigra, lenta, inefficiente. La giustizia è preda di polverose procedure affidate ad uffici sguarniti, sovraccarichi e indifferenti. I processi sono asfittici, chiusi in fascicoli che non stanno nella realtà ma in un mondo parallelo, in cui il tempo non esiste, l’urgenza è sconosciuta, la velocità è una chimera. Il processo è il mondo di carta su cui governa un monarca, contornato dalla sua corte, togata e non, e infastidito dal popolo questuante, che chiede responsi e si avvale di fastidiosissimi difensori.

Questo non è il nichilismo di un uomo disincantato; è il giudizio di chi, con la toga sulle spalle, frequenta i tribunali italiani da tutta la vita. Questo sono sicuro che sia anche il giudizio di coloro che hanno frequentato la giustizia senza la toga, per essere giudicati o per essere tutelati. Varcata la soglia dei tribunali, il cittadino è niente. Nelle aule dei tribunali, la realtà è niente, il tempo è niente, a volte anche la verità è niente, barattata col vuoto bagliore della verosimiglianza.

La prescrizione toglie dalle mani di un sistema claudicante e indifferente il fascicolo polveroso di un giudizio mai reso e libera il suddito dal giogo crudele di una giustizia che punisce con la lentezza, l’attesa, il non liquet. Non bisogna dare ai tribunali più tempo per decidere. Non bisogna consentire ai tribunali di decidere senza tempo. È necessario che la giustizia funzioni, che sia celere ed efficiente, che sappia decidere e giudicare tempestivamente. Come? Garantendo ai tribunali risorse strutturali e professionali, imponendo il pieno e proficuo impiego di quelle risorse, controllando la qualità e la quantità del lavoro svolto e le ragioni delle inefficienze e delle lentezze. Applicando davvero e finalmente il principio della responsabilità professionale, diretta e personale; quello che oggi porta in tribunale il miglior chirurgo che ha forse sbagliato il suo intervento, e lascia nella completa irresponsabilità il giudice pigro, svogliato, inefficiente.

La prescrizione dei reati è l’effetto beffardo della inefficienza; eliminarla non significa migliorare la giustizia ma accettare la sua lentezza e la sua inidoneità, promuovendo la irresponsabilità. A Viareggio, nel 2009, si è consumato un dramma. Oggi, dopo undici anni, a quel dramma la giustizia ha saputo dare solo una definitiva e vergognosa sepoltura.