Perché non è stata affidata a subito ai militari l’organizzazione unica dei primi soccorsi?. La popolazione non vuole il paternalismo statale.
Circa 1000 morti e 3 mila feriti: questo il bilancio del terremoto di magnitudo 6.5 della scala Richter che in 59 secondi devasto il Friuli. Era la sera del 6 maggio del 1976 e alle 21:00:12 la terra tremò e in pochi secondi un mondo intero, una cultura, una comunità crollarono: si era risvegliato l’Orcolat, in dialetto friulano ‘orco’, sinonimo di terremoto.
Le comunicazioni si interruppero, e a dialogare con i presenti sui posti furono solo i radioamatori. Fu in quelle conversazioni che si utilizzarono le parole: “Qui è tutto un polverone, si sentono grida in lontananza… non capiamo, forse c’è stato un terremoto”, dissero gli autotrasportatori che passavano per Venzone, Gemona, Osoppo.
Per capire le proporzioni dei danni fu necessario però attendere l’alba: ovunque erano crollate case, e dovunque c’erano morti. La solidarietà fu immediata: a centinaia partirono per i luoghi colpiti nel tentativo di salvare qualche vita umana. Si formarono squadre coordinate dai sindaci, dai vigili del fuoco e dagli alpini della Julia. Grazie al lavoro di tantissimi volontari furono salvate vite umane. Fu avviata l’opera di smassamento di quello che restava delle case, dei fienili, delle stalle. La solidarietà arrivo anche dall’estero Stati Uniti, Argentina, Australia e da tantissimi Paesi europei dai quei friulani ‘lontani dalla patria’. Il giorno arrivò con Giuseppe Zamberletti, subito nominato commissario straordinario dal presidente del consiglio Aldo Moro.
Un terzo della regione Friuli Venezia Giulia fu devastato e il colpo di grazia arrivò con le scosse di settembre (11 e 15) che completarono la distruzione e obbligarono Stato e Regione a pensare di trasportare bambini, giovani e anziani lontano da quelle zone per trasferirli verso Sud, nelle località marine di Grado, Lignano, Bibione e Caorle dove ricostruire le comunità.
Il motto di allora fu ‘prima le fabbriche, poi le case, poi le chiese’: una scelta comune fatta propria anche dalla curia udinese per garantire il lavoro ai residenti.
Dopo 45 anni da quei tragici giorni, a ricostruzione completata, si stima che il tutto sia costato circa 13 miliardi di euro.