Al Bano, Celline San MArco

Al Bano: il capitale umano deve essere il potere dei Teatri

di ALDO BELLI – Intervista ad Al Bano. “In Italia c’è poca attenzione nei confronti di un patrimonio che era nostro e che si sta sgretolando”

Cellino San Marco. Le luci delle finestre lasciano entrare i colori antichi del Salento, i profumi della natura ovattati dall’inverno sonnecchiano tra gli ulivi secolari, i lecci, le querce e gli eucalipti. E’ in questa atmosfera che ha deciso di vivere Albano Carrisi, facendo rivivere i ruderi del tempo in una moderna masseria che del tempo conserva tutti gli umori, anche la campana della chiesetta di San Giovanni che batte il suono della sua infanzia. Il bosco arretra e si estendono i vigneti: Primitivo e Negroamaro, rosso intenso, avvolgente, con il gusto che rammenta la confettura di prugne, il sapore di caffè e cioccolato; Salice Salentino, Chardonnay e Aleatico. Il padre Carmelo da bambino lo portava alla vigna, “Se dai alla terra, la terra ti dà”: Albano, prima ancora del vino, scoprì così che da quei filari arrivava “un sorso di saggezza”.

Calore e colore, emanano dalla sua voce quando gli parlo di suo padre e sua madre. “Questo vino mi aiuta a riscoprire il calore degli affetti e il colore degli anni”. Al padre, le Cantine di Al Bano Carrisi hanno dedicato una linea di vini bianchi: Don Carmelo. E’ scomparso nel 2005. Sua madre Jolanda Ottino, invece, se ne è andata un anno fa quasi centenaria. Quanto sono stati determinanti i genitori per quello che poi Albano è diventato? gli chiedo. Ricordo il ragazzo che a diciassette anni emigrò: il figlio di contadini del Sud cameriere a Milano che con i “sorsi di saggezza” della vigna e il sudore della terra di Carmelo e Jolanda è arrivato sul palco della Royal Albert Hall, di fronte al pubblico di Sidney, nella Grande Sala dei Concerti Oktjabrskij di San Pietroburgo. 26 dischi d’oro e 8 di platino. L’onestà, gli sottolineo, non è una forma estetica, è come la musica. “E’ una forma di comunicare con sé stessi e con gli altri” aggiunge Al Bano.

“Il padre e la madre ti generano non solo mettendoti al mondo. Credo che tutto sia dovuto a loro” risponde Al Bano. “Le mie canzoni sono un inno al mio vissuto. In casa non c’era una cultura musicale nel senso proprio del termine, ma la musica era la cultura del paese: un modus vivendi; era una maniera di comunicare sia con se stessi che con gli altri. Era bellissimo, adesso non c’è più o forse è cambiato. Poi, a Milano ho imparato a vivere: a diciassette anni imbevuto totalmente di Salento, vedevo che era un mondo troppo ristretto per la mia vita e così decisi di prendere il compasso e allargare il cerchio, andai a Milano. E non ho sbagliato”. Quando Al Bano dice ‘imbevuto di Salento’, tiene a precisare: “In senso positivo, naturalmente”. Milano allargò l’orizzonte, non voltò le spalle alla vigna e alla terra: nelle sue canzoni Al Bano non ha concesso nessuna assenza, perché “quando distruggono cose che appartengono ai ricordi della tua infanzia, ai ricordi della tua formazione, è come se ti strappassero una mano, un dito”. Come la piccola campana della chiesetta di San Giovanni che Al Bano salvò dalla distruzione, e che continua a suonare sopra i tetti nella masseria del Seicento di Cellino San Marco.

Il motivo del nostro incontro è legato alla discussione aperta da Toscana Today sullo stato di salute della lirica in Italia. Al Bano è un appassionato della “musica regina”, come lui la chiama. Il confronto tra musica lirica e musica leggera in Italia mi viene spontaneo.

“Molte opere sono state attinte dalla musica popolare, Schubert ad esempio ha attinto molto” mi risponde. “La musica è un alfabeto che si coniuga fin dai tempi antichi con le cose spontanee della vita, la cultura popolare, fino alla grande cultura con Bach, Handel, Beethoven…” La grande musica è grande quando raggiunge l’anima del grande pubblico. “Pensa, Volare: è una canzone di fine anni Cinquanta e ancora oggi è un evergreen pazzesco, in quante lingue è stata cantata!”.

Perché la considerazione del Teatro lirico in Italia è giunta così in basso? gli chiedo. “Se così è, dipende dal ministero che si occupa dei Teatri e dello Spettacolo, non so esattamente a quale livello di considerazione stia la musica lirica in Italia. Noi della musica leggera, pur non avendo nessun tipo di appoggio, ce la caviamo perché abbiamo la potenzialità del popolo che ci aiuta; la musica lirica essendo localizzata nei grandi templi ha bisogno di un peso finanziario notevole: che non sempre c’è, oppure ci sono i fondi che riescono anche a prendere altre strade”.

Tu, però, che hai girato il mondo, osservo, converrai che…

Risponde Al Bano: “All’estero c’è maggiore attenzione. In Austria, ad esempio, universalmente riconosciuta rappresentante della bella musica, il popolo fin da piccolo viene educato ad interessarsi di musica. In Italia, invece, che è il Paese della musica lirica, c’è disattenzione da parte della politica, e di conseguenza anche sotto il profilo scolastico. In Italia c’è poca attenzione nei confronti di un patrimonio che era nostro e che piano piano si sta sgretolando. Debbo dire anche, comunque, che in Italia non c’è un servizio a favore della musica leggera, mi riferisco agli spazi. I palazzetti dello sport, purtroppo, sono il luogo più sbagliato per fare musica”.

La musica leggera in Italia è sempre stata considerata un attività culturale di serie C, alle volte neppure culturale (e la musica lirica il vezzo di una nicchia di pubblico), osservo. Al Bano è d’accordo: “Confermo, è esattamente così. Questo è ciò che io detesto della politica: come il popolo venga maltrattato. Durante il periodo delle votazioni viene invocato il popolo, pronti a stendergli tappeti rossi, poi una volta che hanno contato il gregge spariscono. E’ una lezione che appresi da mio padre quando giungevano in paese a fare i comizi: il giorno dopo le votazioni, mi diceva, nessuno si ricorderà più di te… E’ impressionante assistere oggi ai continui litigi, questi si prendono a parolacce e litigano litigano, a destra e a sinistra, e la domanda sorge spontanea, uno che guarda questa scena si domanda: a chi affido la mia vita, a chi? E noi popolo ascoltiamo i loro litigi. Così capita di allontanarsi dalla politica, sapendo che è sbagliato perché o noi ci interessiamo alla politica oppure…”.

“Se dai alla terra, la terra ti dà”. Spesso nella società umana il corrispettivo delle parti non è equivalente, ma alcune volte si esagera. Tutti coloro che vivono nell’ambiente della lirica in Italia sono a conoscenza del sistema delle black-list nei Teatri: quando i contratti di lavoro degli artisti sono temporanei (anche solo pochi giorni di ingaggio, poi ripetuti), chi si lamenta per i propri diritti viene messo in black-list e in quel Teatro non lavora più. Tutti ne sono a conoscenza di questa prassi a quanto si dice diffusa, ma nessuno parla o denuncia (umanamente comprensibile); il contratto nazionale collettivo dei lavoratori dello Spettacolo deve essere rinnovato da 19 anni, reso impossibile per legge dello Stato (e questo è meno comprensibile, sotto il profilo dell’omertà politica). Al Bano, tu cosa diresti a questo mondo maltrattato?

“Più che dire, bisognerebbe fare. Tutto l’apparato umano che serve al Teatro deve unirsi e dettare legge, non subire le angherie di chi sta al potere. Bisogna reagire, una grande riunione di tutti gli addetti ai lavori da chi canta e suona fino a chi scarica gli strumenti, e dire: noi siamo il Teatro, noi siamo il potere, noi dobbiamo essere parte della gestione della nostra attività. Non che arriva uno e perché lecca ai servizi della fronda politica determina un andamento deleterio per la musica e per il Teatro”.