Altruismo e gentilezza influenzano profondamente il nostro benessere psicologico. Possiamo allenare queste facoltà
L’altruismo e la gentilezza sono due pilastri del vivere civile, due colonne portanti di una società giusta e rispettosa del prossimo.
La ricerca scientifica ci dice che questi importanti elementi possono giovare al benessere psicofisico, non solo delle persone che beneficiano di un atto generoso, ma anche di chi lo compie.
Questo dato ci aiuta a respingere con forza una visione della vita cinica e basata sulla competizione, in cui stare bene significa sempre primeggiare e prevalere sul prossimo. La verità è più complessa e migliore: connetterci agli altri, aiutandoli e mostrando attenzione nei loro confronti, può giovare molto alla nostra psiche.
Più altruismo, meno depressione
In uno studio della York University di Toronto, 640 persone con depressione lieve, di età media intorno ai 35 anni, sono state sottoposte a un particolare training online. Dovevano infatti collegarsi a una piattaforma con esercizi mirati a rafforzare i sentimenti di compassione e altruismo. Uno dei compiti previsti era compiere gesti gentili verso le persone a loro vicine nel quotidiano.
Per tre settimane i soggetti alternavano le esercitazioni virtuali e la compilazione di report sulla loro vita di tutti i giorni.
I risultati dimostrano che praticare l’altruismo giova alla psiche: questo effetto era marcato, in particolare, nelle persone dal carattere inizialmente più difficile e meno attento alle esigenze del prossimo.
Proprio tali individui manifestavano la più netta riduzione della depressione, oltre al più grande incremento della soddisfazione di vita, dopo aver compiuto atti di gentilezza verso le persone vicine a loro più vicine.
Come spiegato dalla dottoressa Myriam Mongrain, coordinatrice dello studio, “Tutti hanno bisogno di qualcuno. Gli individui dal carattere meno piacevole rischiano di sentirsi respinti o emarginati, a causa della loro ostilità e della loro scarsa cooperazione.” Ecco che compiere gesti di altruismo può cambiare una quotidianità grigia: “Adottare questi nuovi comportamenti può aver fatto sì che si sentissero più affermati e apprezzati nella cerchia delle loro relazioni sociali più strette. In questo potrebbe risiedere l’ingrediente antidepressivo”.
Varie possibilità di training
Oltre al metodo virtuale impiegato nello studio appena citato, esistono altre tecniche per migliorare il nostro lato gentile e compassionevole. Uno di questi è il “Compassion Training”, testato ad esempio dall’Università di Zurigo in un’interessante studio.
Si tratta di una pratica basata sulla tecnica di meditazione buddhista detta “Metta”, articolata in sessioni tra i 15 e i 30 minuti. All’inizio, i partecipanti formulano pensieri positivi sui familiari e sulle altre persone più care. Rivolgono loro mentalmente frasi come “Ti auguro di essere felice”, o “Spero che tu sia al sicuro”. Successivamente, tali pensieri vengono rivolti a una persona neutra, poi a una con cui si hanno rapporti problematici. Infine, la sessione si chiude cercando di indirizzare le frasi compassionevoli all’umanità in generale.
Può sembrare una pratica astratta, ma il team di ricerca svizzero ha ottenuto un riscontro molto concreto della sua efficacia.
Lo studio ha infatti messo a confronto persone che avevano effettuato il “Compassion Training” con altre che non lo avevano praticato, chiedendo loro di giocare a un videogioco chiamato “Zurich Prosocial Game”.
Con una grafica semplice, che ricorda un po’ i videogame vintage, il gioco prevede di cercare un tesoro in un labirinto. Sullo stesso schermo appare anche un secondo percorso, che mostra un’altra partita. Ai partecipanti allo studio veniva detto che anche tale sessione era giocata da una persona in carne e ossa.
Nella ricerca del tesoro, i giocatori si imbattono il alcuni portali chiusi. Questi sono apribili solo tramite apposite chiavi che i personaggi possiedono. Entra in gioco a questo punto l’aspetto altruistico: a un certo punto della partita, il secondo personaggio inizia a incontrare difficoltà, esaurisce le sue chiavi e l’unica possibilità per non farlo uscire dal game è donargli una delle proprie.
Le persone che avevano partecipato al Compassion Training erano molto più propense ad aiutare il presunto compagno di gioco, anche quando l’atto di gentilezza causava loro svantaggi notevoli.
Sebbene siano necessari ulteriori studi, questi dati incoraggiano ad esplorare le potenzialità di un allenamento dell’empatia e dell’altruismo.
Implicazioni didattiche
Lo studio canadese e quello svizzero ci danno quindi due ulteriori, importanti motivazioni per incoraggiare lo sviluppo dell’altruismo e della gentilezza, magari attraverso appostiti programmi nelle scuole: aiutare il prossimo ha ripercussioni positive sulla psiche e il grado di compassione di cui una persona è capace può dipendere dalla sua educazione.
Alcuni Paesi hanno già compiuto passi avanti notevoli in questa direzione. Ad esempio, in Danimarca si tengono lezioni scolastiche di empatia per bambini e adolescenti. Si tratta di sessioni settimanali dedicate alla comprensione e all’analisi delle emozioni del prossimo, con esercitazioni pratiche e discussioni di gruppo.
Non resta che augurarsi che tali iniziative si diffondano anche in Italia.
Ugo Cirilli è nato a Pietrasanta nel 1985, laureato in Psicologia Cognitiva Applicata all’Università di Bologna ha poi conseguito un master in Mental training, ha frequentato corsi di marketing e di gestione delle risorse umane, tecnico della progettazione e promozione turistica (Fondazione Campus, Lucca). Ha scritto su siti internet di cultura e attualità, tra questi scrivo.me portale del Gruppo Mondadori). Come scrittore ha esordito con il romanzo “Un accordo maggiore in sottofondo” (edizioni Toscana Today, 2019).