Nel 1964 il trentaquattrenne Sean Connery lavora insieme a Tippi Hedren in questo film diretto da Alfred Hitchcock.
Bentornati a un nuovo capitolo della rubrica “Cinema Tips”, il primo per questo mese di Novembre. In questi ultimi giorni il mondo dello spettacolo italiano e internazionale è stato toccato da due importanti lutti: Gigi Proietti e Sean Connery. Entrambi hanno avuto una carriera, seppur diversa, molto ricca e intensa, tanto da essere ricordati da tutti. Gigi Proietti sicuramente apprezzato dal cinema italiano, ma ha saputo donare al teatro italiano delle prospettive nuove. Sean Connery, invece, è stato un’emblema dell’eleganza nel mondo del cinema hollywoodiano. E a quest’ultimo, oggi, dedicheremo una pagina, una particolarità della sua carriera.
Si tratta di un lungometraggio girato con Alfred Hitchcock, un thriller psicologico molto perverso e ampiamente discusso: “Marnie”.
Uscito nel 1964, in coppia con Sean Connery (poco più che trentenne) c’è una delle icone del cinema hitchcockiano: Tippi Hedren (coetanea di Sean Connery e ancora viva).
È un film molto particolare nella filmografia di Alfred Hitchcock, estremamente legato all’aspetto psicologico sia della protagonista femminile, fragile e inquieta e per questo resa estremamente affascinante dalla trama, che nel rapporto di coppia, perverso e allucinante. Qui viviamo tematiche assai squarcianti sul piano sociale e umano: la mamma che è costretta a mantenere la figlia esercitando il metetricio e quest’ultima che si riempe di paure e incubi in quelle notti così infernali quanto spaventose. Non è un film che solletica la goducia narrativa di uno spettatore che si mette all schermo per abbandonarsi alla trama, ma fa ribollire probabilmente vecchie tensioni o strani incubi, anche tramite effetti visivi e musicali particolarmente spigolosi.
Dicevo, quindi, un film molto discusso, specialmente dalla critica e dagli studiosi di cinema. I primi contestarono il film in maniera unanime ed esplicito, ma poi fu considerato uno dei picchi del regista britannico. Gli studiosi, invece, lo hanno messo tra luci e ombre. François Truffaut lo mette nella categoria dei “Grandi Film Malati”, ossia un’impresa ambiziosa che ha sofferto per tanti errori, mentre per Donald Spoto il film trafigge un fascino intimo e particolare.
Insomma, una pellicola conturbante e insolita, indubbiamente da non farsi mancare, anche per rivedere uno Sean Connery giovane e molto diversi da quelli che poi saranno i canoni estetici e attoriali a cui noi spettatori saremo abituati a vederlo.
Lorenzo Simonini è nato a Viareggio nel 1988. Iscritto al corso di laurea in Cinema e Produzione Multimediale alla Sapienza di Roma, si laurea a pieni voti nel 2014 all’Università di Pisa con una tesi di ricerca sul cineasta amatoriale Costantino Ceccarelli (sul quale pubblica un saggio nel 2015). Ha scritto e diretto cortometraggi e videoclip.