
di ALDO BELLI – Un romanzo a tinte gialle, un Colpo di Stato con i buoni e i cattivi rovesciati, e noi come protagonisti (La Nave di Teseo).
“Confessioni di un misantropo” di Claudio Pozzani è un romanzo imprevedibile.
Niente commissari vari di polizia, ispettori e giudici che indagano, omicidi che potrebbero essere avvenuti ovunque se non fosse per i fondali di cartone che cambiano, insomma niente di quella fauna narrativa che ha prodotto in Italia nell’ultimo quarto di secolo un diluvio di lacrime versate dagli alberi che producono cellulosa per fare la carta. Ma non è questa la ragione principale della sua imprevedibilità.
Un bel romanzo di letteratura civile: è questo a sorprenderci.
La definizione, purtroppo, emana un fetido odore nella platea ormai assuefatta dall’editoria autoreferenziale e dalla soave leggerezza del giallo mutuato dallo stile di Liala (che non scriveva gialli, ma romanzi d’amore che però vendevano milioni di copie). Allora, spendiamo prima due righe per ricordare che “letteratura civile” non è sinonimo né di saggistica né di politica: la letteratura italiana – scriveva Leonardo Sciascia – è nata “civile” con Dante, perché “Civile” è parola che interpreta, trasfigura e giudica la realtà; l’universo letterario di Dante rappresenta la società dell’epoca, la sua prosa fiammeggiante trae origine e si espande attraverso l’allegoria, l’Alta Fantasia, così che la sua umanità trecentesca, con i suoi vizi e le sue virtù, assume un valore universale e dà forza e legittimità ad una letteratura che attraversa la storia d’Italia, e, quasi naturalmente, si realizza in maniera importante nel secolo che più di tutti gli altri ha visto il mondo tremare e trasformarsi, il ‘900.
Libri “senza tempo”, ad indicare la loro capacità di andare oltre la vita stessa dell’autore e dell’epoca in cui sono stati pubblicati, dovrebbe forse coniarsi più correttamente in “libri oltre il tempo”: poiché non esiste vera letteratura, di qualsiasi genere (rosa, gialla, poesia, horror…) che non sia specchio, interpretazione e trasfigurazione, della realtà, anche quando la sua storia si sviluppi nel futuro o nel passato remoto. Altrimenti, non è letteratura, è fumetto. Ed è proprio questo essere la letteratura “letteratura civile” che dà forma ad una letteratura più grande: la “letteratura di un’epoca storica”. Nella quale si incrociano le influenze narrative e poetiche attraversando le frontiere geografiche.
Nelle “Confessioni di un misantropo” di Pozzani – “Sono sempre stato un grande lettore” mi dice raggiunto al telefono – c’è l’influsso della letteratura latinoamericana (Gabriel Garcia Marquez scrive della dittatura come costante morale dell’America Latina), anche il suo tipico ritmo calmo della scrittura (l’immobilità del tempo, dove tutto si muove e nulla cambia); ma tra le righe si coglie anche il simbolismo e l’allegorismo di Baudelaire (l’opposizione della fantasia allo spirito del tempo che vuole tarparla); potrei aggiungere il Bertold Brecht de “L’opera da tre soldi”, uno dei più alti esempi letterari di umorismo cinico dei rapporti umani e sociali (e, vedi un po’!, che Brecht aveva tratto dalla parodia del melodramma italiano).
Ecco allora il romanzo di Pozzani. Un paese senza nome eppure facilmente individuabile, dove il Quadrumvirato ha retto per quasi un decennio la “dittatura dei creativi” a cavallo del 2030. L’unico superstite, segregato agli arresti domiciliari, è Athos Rossini ormai agli sgoccioli della propria esistenza, ha centotre anni: continua a difendere la propria rivoluzione basata sul rilancio della cultura, dell’arte e della ricerca, sul superamento del lavoro tramite l’automazione, la nazionalizzazione di banche e finanza, sebbene il suo prezzo abbia inevitabilmente comportato la violenza fisica contro gli oppositori interni.
Athos Rossini decide di partecipare ad una trasmissione televisiva, e spenti i riflettori fa uscire il suo memoriale che da tempo attendeva l’occasione: sconvolgenti rivelazioni di corruzione sugli attuali governanti scatenano la rivolta popolare, il paese è sull’orlo della guerra civile. Inutile aggiungere come andrà a finire.
Il romanzo chiude con un segno di speranza: “Non me la sono sentita di rimanere impassibile di fronte al buio del nostro tempo, in qualcosa dobbiamo pur cercare una speranza di salvezza” mi confessa Claudio Pozzani. Il finale del libro ci regala un’ennesima trasfigurazione del senso comune facendo risaltare il lato oscuro della Rivoluzione Digitale, quel tipo di oscurità che contiene la luce impossibile da cancellare.
Hanno scritto che “Le confessioni di un misantropo” distrugge il “politically correct” e mina i valori della democrazia. Non sono d’accordo. Montesquieu ci ha insegnato che la democrazia non è pura forma, è la forma dell’esistenza concreta di una società di uomini. Non sta scritto in nessuna bibbia che la democrazia sia superiore ad uno Stato governato dal Principe solo per la forma che possiede.
