Dante Alighieri - Toscana Today

Dante Alighieri e i festeggiamenti per San Zeno

di GIOVANNI VILLANI – Il ricordo per i 700 anni dalla morte di Dante Alighieri si incrociano con i festeggiamenti in onore del Patrono di Verona San Zeno (21 maggio) che iniziano mercoledì 5 maggio nella basilica del Santo, per ripetersi il 6 giugno, alla conclusione delle manifestazioni.

Ne saranno protagonisti, con alcune narrazioni (e accompagnamenti musicali) tratte dalla Divina Commedia, il regista veronese Alessandro Anderloni e il docente di filologia all’Università degli Studi di Verona, professor Paolo Pellegrini.

Un duo, che attorno al nome di Dante, ha da anni intavolato lunghe esperienze congiunte e in diverse occasioni anche teatrali. Anderloni è autore di oltre cinquanta testi teatrali e si è dedicato a Dante ed alla Divina Commedia durante gli studi in Lettere moderne e quindi con una intensa attività di divulgazione didattica, nelle scuole ed in carcere. Dalla Commedia, di cui interpreta molti canti a memoria, ha tratto monologhi e trasposizioni sceniche di prosa e di teatro danza.

Ha ideato il progetto “Dante 700: Verona onora Dante” per il settecentesimo anniversario della morte di Dante nel 2021. Ha pubblicato poche settimane fa, il testo teatrale “Dante a Verona” (Cierre editore) che affonda a piene mani in un materiale dove le fonti storiche e i rimandi dalla Commedia si mescolano con le leggende, gli aneddoti o le vere e proprie invenzioni. La scena si svolge negli ultimi mesi del soggiorno scaligero del sommo Poeta, restituendo il sapore della Verona medioevale, verosimile a noi con la scelta di far trapelare ai personaggi la lingua di oggi: il dialetto per i popolani, l’italiano per i nobili e i dotti. Un coro fa da narratore dell’incontro tra Dante con le donne che lo immaginano andare e venire dall’inferno, con gli artigiani che già recitano a memoria gli endecasillabi della Commedia, con le supponenti dame e i vanesi cavalieri, con i canonici, i religiosi e i filosofi che lo attendono nella chiesa di Sant’Elena per la “Questio de aqua et terra” che disputerà il 20 gennaio e infine con Cangrande. Ma l’incontro tra il Poeta e il mecenate ha il sapore di un addio: è tempo che il “ghibellin fuggiasco”, con la famiglia che lo accompagna, si congedi da Verona.

Paolo Pellegrini, oltre ad insegnare Filologia italiana, è stato visiting fellow alla Haward University, alla Columbia University e alla Katholieke Universiteit Leuven, tenendo seminari alla Normal Univerity of Beijing, alla New York University, alla University of Notre Dame e all’University di Helsinki. Tra i suoi libri più recenti “Planctus Magistrae Doloris” (Berlin-Boston 2013) e “Dante tra Romagna e Lombardia” (Padova 2016). Ha edito invece quest’anno, per la Piccola Biblioteca Einaudi, “Dante Alighieri, una vita”. Un testo che combina – in un linguaggio chiaro e accessibile ad un pubblico di lettori non specialisti – le acquisizioni più recenti su Dante, con gli esiti di ricerche personali e di prima mano. Pellegrini propone sostanziose novità rispetto alle biografie precedenti, sia nella scrupolosa ricostruzione dell’esistenza del Poeta, sia nell’attenta analisi della tradizione testuale, della cronologia e della stesura delle opere, che passa i più recenti contributi della medievalistica moderna al vaglio della migliore filologia novecentesca. Al tempo stesso, attraverso una più solida selezione puntuale della bibliografia dantesca, il suo saggio intende offrire alle generazioni di studiosi più giovani o ai semplici appassionati, un’indicazione di metodo che potrà essere messa a frutto per ulteriori future ricerche.

Il convenzionale intreccio della figura pubblica e privata di Dante, con la sua opera e il contesto storico e culturale dell’Italia tra Due/Trecento, ha favorito in passato non poche ingenuità metodologiche e comode semplificazioni che questa nuova vita di Dante evita accuratamente. Curiosa una novità assoluta, data dalla “scoperta” di Pellegrini (pp. 163-164) con riferimento al canto XVIII del Purgatorio, dove Dante fa menzione “dell’abate di San Zeno a Verona, sotto lo ‘mperio del buon Barbarossa”. L’unica fonte – sostiene Pellegrini – da cui il Poeta poteva attingere la notizia di Gherardo, abate dell’abbazia di San Zeno dl 1163 al 1187, è un’iscrizione murata sulla parete esterna della chiesa e ancora visibile in cui si ricorda, oltre al suo nome, la pace di Venezia tra Papa Alessandro III e Federico Barbarossa; ciò proverebbe che Dante fu a Verona e vide quella lapide, oltre ad avere scritto durante il soggiorno veronese, il XVIII canto del Purgatorio.