di GIOVANNI VILLANI – Un lavoro congiunto delle Università di Verona (professor Massimo Delledonne) e ’di Firenze (prof. Caramelli e Lari.)
Ma di cosa morì improvvisamente Cangrande I della Scala? La scienza continua a darci notizie illuminanti su molte vicende storiche e a fornirci certezze su come si sono poi svolte nella realtà. Succede qualcosa di simile anche in occasione della ricorrenza per i 750 dalla morte di Dante Alighieri dove torna d’attualità anche quella di Cangrande I della Scala, suo grande protettore a Verona. In particolare nella città scaligera si sono ricercate le cause della sua immatura scomparsa, avvenuta il 22 luglio 1329 sotto le mura di Treviso. Si è infatti sempre creduto, fino a poco tempo fa, che l’improvviso malore di cui fu vittima Cangrande fosse stato causato da un congestione causata da acqua troppo fredda bevuta in una giornata afosa e di grande impegno militare o in alternativa che fosse stato vittima di un avvelenamento. Ora invece l’equipe scientifica che ne ha studiato il Dna, estratto nel 2020 dal fegato e dalla falange di un piede del signore di Verona, dimostra che la crisi fatale deve essere addebitata ad una malattia che egli si trascinava fin dalla nascita: la glicogenosi, una patologia rara che colpisce un italiano su 40/50 mila soggetti, un tempo micidiale per la salute, ma oggi curabilissima.
La diagnosi è scaturita da un lavoro congiunto tra il laboratorio di genomica funzionale diretto dal professor Massimo Delledonne, del Dipartimento di biotecnologie dell’Università di Verona e il laboratorio di Antropologia molecolare e paleogenetica dell’Università di Firenze, coordinato dai professori David Caramelli e Marina Lari, esperti nell’estrazione del Dna antico.
Anche la ricerca storica, condotta dal professor Ettore Napione dell’Ufficio Unesco del Comune, tra i massimi esperti di Cangrande a Verona, ci ha messo del suo, individuando alcune delle possibili cause che potrebbero ricondurre alla malattia diagnosticata per il principe scaligero, riportate dalle cronache del tempo, come gli eccessivi tragitti brevi a cavallo e le soste forzate, gli impegni muscolari particolari per l’uso dell’arco, alcuni improvvisi malesseri legati a crampi e scompensi cardiaci, compatibili con la diagnosi della glicogenosi, che si tentò di contrastare con dosi eccessivi di digitale, usate come cardiotonico, ma che fecero pensare ad un possibile avvelenamento, tanto che il medico personale di Cangrande finì poi per essere impiccato.
La diagnosi degli scienziati arriva così a sfatare definitivamente il supposto tentativo di avvelenamento che per tanto tempo fu creduto la causa determinante degli ultimi giorni di vita di Cangrande. Un primo esame sulla sua mummia fu tentato anche nel 1921, ma la glicogenosi allora non si conosceva ancora e infatti fu scoperta solo nel 1932 dal patologo olandese Johannes Pompe, dapprima sui bambini e successivamente sugli adulti nel 1968.
Il lavoro di ricerca fra i dipartimenti veronesi e fiorentini, intrecciando tecnologie moderne, con la diagnostica medica e gli studi storici, ha consentito di analizzare e sequenziare per la prima volta una mummia secolare come si trattasse di un paziente in vita. È la stessa metodologia che ora il Dipartimento di biotecnologie veronese vuole applicare anche sulla costola di balena appesa da secoli sul volto che conduce da piazza Erbe a piazza dei Signori. “Noi sappiamo sequenziare solo persone malate – ha spiegato il professore Delledonne – per questo ci siamo rivolti all’equipe fiorentina. Mentre nel fegato di Cangrande non abbiamo riscontrato alcun indizio, nella falange abbiamo trovato moltissimo Dna”.
“Il fenomeno delle contaminazioni – ha confermato anche il professor Caramelli – è poi il primo ostacolo nel nostro lavoro, ma le tecnologie molecolari ci consentono di escluderle. Abbiamo proceduto ricostruendo ciò che noi chiamiamo librerie del Dna consegnateci da Verona”.
L’analisi bioinformatica di 83 milioni di sequenze prodotte ha portato alla ricostruzione del 93,4% dei geni di Cangrande. Il risultato è tornato a Verona per un’analisi clinico – genetica, frugando tra 249 varianti della patologia diagnosticata. In sintesi: Cangrande aveva una malattia con caratteristiche cliniche che lo hanno portato alla morte dopo qualche giorno di sofferenza. Il quadro clinico della glicogenosi nell’adulto comprende infatti debolezza muscolare, difficoltà respiratoria, crampi, fratture spontanee, cardiopatia.
Il professor Napione ha individuato poi almeno tre episodi ascrivibili alla malattia, prima di quello fatale. Nel settembre 1314, a 23 anni e dopo una cavalcata, Cangrande è costretto ad abbandonare il cavallo e proseguire su un carro per un supposto malore. A 29 anni, durante un combattimento, è ferito ad una gamba, ma ritorna subito in battaglia denunciando però un improvviso crampo che lo immobilizza. Il 4 luglio 1325 cavalca verso Vicenza ed è colto da malore. Resta per giorni tra la vita e la morte per riprendersi solo dopo qualche mese. Infine il fatale (e probabile) scompenso cardiaco che lo coglie sotto le mura di Trevico.
Giovanni Villani è nato a Verona, giornalista pubblicista dal 1990, critico musicale del quotidiano L’Arena di Verona. Dirigente amministrativo. Laureato all’Università di Bologna in Storia e all’Università di Verona in Arte.