Il Re è nudo, il contagio e la crisi di Sistema

Per trent’anni ogni struttura pubblica è stata attaccata perché costosa, inefficiente, monopolistica, ricettacolo di corruzione e serbatoio di fannulloni, e adesso…

La diffusione dell’epidemia ha mostrato come il sistema ordoliberista sia il primo responsabile delle difficoltà a gestire il contagio e che solo un sistema organizzato e centralizzato può intervenire efficacemente per bloccare, controllare e debellare il Covid-19 e qualsiasi epidemia seria (come abbiamo visto accadere in Cina, mentre assistiamo ad uno spettacolo indecoroso dei singoli stati e delle istituzioni europee in generale, e in particolare della Presidente della BCE Christine Lagarde)

In poche settimane si sono rivelati alcuni aspetti della nostra società, da sempre sotto gli occhi di tutti e finora descritti da una ideologia a senso unico come una sorta di destino ineluttabile, ma che adesso in molti dichiarano sia necessario cambiare. Analizziamo alcuni di questi aspetti e da questa drammatica situazione proviamo ad immaginare una prospettiva di trasformazione politico-sociale non più rinviabile.

1. I social

Dopo essere stati demonizzati come strumento di disumanizzazione  e considerati il regno incontrastato delle fake, sono oggi divenuti strumento necessario e insostituibile per mantenere le relazioni personali, per attività professionali, educative, didattiche, comunicative. Dovremo ripensare profondamente il nostro modo di utilizzare e controllare le comunicazioni “a distanza”, per ridefinire norme (non semplicemente leggi) di accesso e controllo pubblico della rete per evitare distorsioni nelle notizie e utilizzo improprio dei dati personali .

2. Le politiche di austerità

Per anni siamo stati bombardati dalle “narrazioni” mainstream finalizzate a convincerci che ogni forma di spesa pubblica – a parte le risorse stanziate per salvaguardare il sistema bancario e le spese militari (compreso l’acquisto di aerei da combattimento tanto iper-tecnologici quanto inefficienti) – fosse esiziale per la nostra vita; che i servizi sociali pubblici, costituzionalmente garantiti, come sanità, istruzione, trasporti, pensioni (salario sociale e differito), le stesse retribuzioni salariali, fossero un lusso che non potevamo più permetterci; che il posto fisso fosse un modo di alimentare una forma di pigrizia psicologica rispetto all’attività lavorativa – anche per figure come infermieri, medici e operatori sanitari, ricercatori scientifici; che le politiche finalizzate al pareggio di bilancio, improntate all’austerità, avrebbe risolto il problema del debito in ogni paese appartenente all’Unione Europea… Invece, ci siamo risvegliati con la necessità di riconoscere che l’UE e la BCE sono contenitori vuoti al cui vertice ci sono personaggi (come Lagarde) che semplicemente rappresentano le élite dominanti e difendono gli interessi dei (sempre) più ricchi.

3. La disarticolazione del Sistema Sanitario Nazionale

In generale, in trent’anni ogni struttura pubblica è stata attaccata perché costosa, inefficiente, monopolistica e ricettacolo di corruzione e serbatoio di fannulloni: la ricetta disastrosa è stata quella di creare una concorrenza tra pubblico e privato, secondo il principio della sussidiarietà e secondo la logica del mercato, cioè del profitto. Inoltre, hanno preteso di convincere i cittadini che la cessione delle competenze alle Regioni avrebbe risolto ogni problema (riforma del Titolo V della Costituzione), e fino a poche settimane fa si continuava a sostenere che l’autonomia differenziata (il regionalismo potenziato) avrebbe reso le regioni maggiormente responsabili delle proprie spese, ma nascondendo che in questo modo si sarebbe rotto il vincolo di solidarietà sociale – nazionale, nel migliore senso possibile – tra le regioni più ricche ed attrezzate e quelle più fragili.

Così, il sistema sanitario nazionale pubblico (SSN) è stato stravolto con tagli pesantissimi: 37mld di euro in meno di venti anni, posti letto dimezzati da inizio secolo, dismissione di pronto soccorso e presidi ospedalieri nei territori (che oggi si tenta di ripristinare velocemente per fronteggiare l’emergenza).

Oggi siamo a ringraziare il quotidiano eroismo di medici e infermieri impegnati senza sosta nella lotta per fermare il contagio ed evitare il collasso del sistema sanitario: a loro deve andare non solo la piena solidarietà, ma soprattutto azioni concrete e provvedimenti che mettano fine allo scempio della distruzione della sanità pubblica. Quando usciremo dall’emergenza, sarà necessario che le politiche iperliberiste, da quarant’anni trionfanti, siano definitivamente cancellate.

4. La centralizzazione delle decisioni

L’unico settore in cui si è mantenuta la centralizzazione decisionale è quello economico-finanziario, per sostenere gli istituti bancari che continuano a “socializzare le perdite” dopo aver “privatizzato i profitti”. Tutti i settori strategici dell’economia (produttivo: chimico, metalmeccanico, elettronico, informatico, alimentare; commerciale: grande distribuzione; servizi: comunicazione, piattaforme digitali, perfino sanità, istruzione e previdenza) sono stati svenduti sul mercato, creando una disfunzione manifesta dell’intero sistema sociale (disoccupazione, retribuzioni incerte, protezione, prevenzione e assistenza  sociali sempre più ridotte), che si è evidenziata con forza virale con l’emergenza sanitaria.

Occorre, invece, un’immediata centralizzazione decisionale e la disposizione sotto il controllo pubblico di ogni struttura privata necessaria al il controllo sanitario e sociale del contagio, per garantire i diritti costituzionali di tutti i cittadini, soprattutto i più deboli socialmente ed economicamente: questo è l’unico modo serio, civile e morale, per affrontare la situazione e offrire una prospettiva senza distinguere tra privilegiati e sommersi.

5. Fine del liberismo e nuove prospettive

Lo abbiamo ripetuto in ogni modo: il capitalismo liberista e globalizzato è il principale responsabile della gestione fallimentare della società, evidenziato in modo eclatante dalla diffusione della pandemia di Covid 19. Tuttavia, né la crisi sanitaria né tanto meno la crisi economico-sociale si risolveranno richiamandosi alle “piccole patrie” dei miseri egoismi sovranisti, ma neppure e tanto meno affidandoci a personaggi della fallimentare stagione iperliberista come Lagarde. Occorrerebbe invece una transizione, attraverso una nuova regia dell’economia e della politica europea, un governo centrale che non sia sottoposto agli interessi di questo o di quel paese o di strati e classi sociali ultraprivilegiate, ma reale espressione dei popoli e dei rapporti di forza politici di un parlamento eletto con sistemi elettorali veramente rappresentativi. Questo potrà avvenire solamente mettendo mano e revisionando profondamente i Trattati internazionali (da Maastricht ad oggi) e chiudendo definitivamente la politica dei vincoli di bilancio che strangolano economicamente i  vari paesi. Servirebbe un nuovo internazionalismo continentale a difesa degli interessi della maggioranza impoverita dei popoli europei.

6. La società divisa in classi

La più palese contraddizione (e ingiustizia) che ha assunto tratti insopportabili è la circolazione delle merci contro la limitazione della mobilità degli umani. Le politiche di chiusura contro l’accoglienza di migranti, con la recisione dei canali umanitari e dell’asilo politico ed economico, trovano il paradossale contrappasso nella sostanziale, anche se non formale, sospensione del Trattato di Schengen. Tuttavia, ciò che si pretende di salvaguardare è la libertà di circolazione delle merci, mentre si ferma (giustamente) la circolazione delle persone.

A questa regola, tuttavia, c’è una deroga che non si può che definire classista: tutti coloro che non hanno una posizione di rendita (economica e finanziaria), le piccole imprese (familiari o con pochi dipendenti), chi lavora negli appalti e i dipendenti delle aziende private, chi lavora nelle fabbriche (soprattutto per garantire la produzione di beni essenziali), chi fa un lavoro di cura di anziani e indigenti, tutte queste categorie (ed altre ancora che stanno sotto traccia, nel cosiddetto lavoro “sommerso”, o “nero”) subiscono direttamente l’impatto del contagio, costretti a lavorare in attività che non sempre possono considerarsi essenziali, ma soprattutto con dispositivi di protezione non adeguati.

Anche i provvedimenti governativi – a salvaguardia dei salari, dell’occupazione, degli ammortizzatori sociali (cassa integrazione), per sostenere le famiglie con la sospensione di mutui e pagamenti IVA e tasse, per indicare l’obbligo di fornire protezione a chi continua a lavorare – stanno arrivando in ritardo, con colpevole lentezza, mentre sono iniziati scioperi e manifestazioni operaie per correggere la linea del governo. Non è più sostenibile, oltre che accettabile, tollerare che qualunque genere di crisi venga pagata dalle classi lavoratrici e popolari, per non toccare gli interessi del padronato, delle classi ricche, delle multinazionali, della élite transnazionale (peraltro espressione dalle borghesie nazionali).