L’Opera Lirica in Italia: come uscire dal baratro

Di ALESSANDRO GENNARI – Il Sistema Lirica, un vecchio armadio con abiti preziosi divorati dalle tarme, le responsabilità della politica

Si potrebbe cominciare citando un famoso film “Non è un Paese per vecchi”, perché questo è il punto cruciale della situazione drammatica nel settore operistico. A poco sono serviti gli aiuti della musica leggera attraverso gli ultimi 50 anni. Aiuti che sono serviti a mantenere il contatto con un pubblico intergenerazionale.

Partirono i Beach Boys negli anni ‘60, utilizzando Bach per le loro armonie vocali, poi i Deep Purple negli anni ‘70 e ancora Freddie Mercury e Montserrat Caballé nell’87 per le Olimpiadi di Barcellona, per finire con il celeberrimo Pavarotti and Friends ed i tre tenori. Questi sono stati artisti ed eventi che hanno provato a cambiare il linguaggio comunicativo raggiungendo il pubblico delle più svariate età. Idee geniali? Forse. Ma le idee geniali passano per i manager dello spettacolo e direttori artistici. Queste categorie, nel settore operistico italiano fanno acqua da tutte le parti.

Il sistema dell’opera, al momento è un vecchio armadio chiuso con dentro abiti preziosi divorati da avide tarme. La politica non è esente da responsabilità, anzi. Furono Veltroni prima, ed oggi il duo Franceschini/Nastasi creare le premesse per mettere i teatri nelle condizioni di agire in modo incontrollato con la sola condizione di porre al comando dei sovrintendenti nominati e scelti dalla politica. Sono i Sindaci a proporre una rosa di nomi al Ministro che poi conferma il nome in base ad una legge dalle maglie molto larghe. A questa importante responsabilità politica, si aggiunge il Diritto.

Quando le Fondazioni Lirico Sinfoniche erano Enti Lirici, oneri ed onori appartenevano allo Stato. Quindi la sofferenza economico finanziaria così come i successi di gestione, erano in corpo al pubblico. Oggi invece quegli enti, sono stati trasformati in Fondazioni di diritto privato. Questo non fa altro che alzare una cortina di ferro tra gli enti di Governo Locale ed i teatri. In pratica zero trasparenza. Nessuna possibilità di accedere alla documentazione ed ai verbali dei consigli di indirizzo. Inoltre, quando le casse sono vuote o condizionate dal forti buchi di bilancio, si corre da Papà Ministero a chiedere aiuto.

Non ci sono al momento in Italia, Soprintendenti Manager in grado di attrarre investimenti o creare relazioni importanti. Solo pochi grandi teatri possono godere di sponsorizzazioni all’altezza, ma la motivazione è da ricercare nel blasone del teatro stesso (vedi La Scala, La Fenice, il San Carlo…) e non nei vertici amministrativi/artistici. Questa è una lettura molto personale ma ritengo non sia distante dalla realtà ascoltando le vicissitudini di molti addetti ai lavori, dipendenti o liberi professionisti di questo settore. Riassumendo: se chiediamo conto ai teatri della loro gestione e di come i contributi pubblici del FUS, delle Regioni e dei Comuni vengono spesi e gestiti si sventola la natura privata della Fondazione; quando questi soldi finiscono ecco che il pubblico serve eccome.

Una situazione da lacrime e sangue inserita in un circolo vizioso e viziato. Quale sia il Circolo vizioso è presto detto. Atteggiamenti clientelari veri o presunti, palesi nepotismi e conflitti di interessi talvolta ostentato, per non parlare di presunti abusi d’ufficio. Il tutto coperto dall’omertà di artisti e dipendenti a causa del clima di terrore venutosi a creare. Rapporti mai chiariti veri o presunti con certi Agenti che hanno il controllo totale del settore in tutta Italia, talvolta arrivando a scrivere il calendario della stagione o del festival assieme ai direttori artistici. Se ancora non ve ne foste accorti, mentre si snocciolano cantanti dai nomi altisonanti, i corpi di ballo stanno sparendo dai teatri italiani, decimati e lasciati al proprio destino, questi artisti sono le prime vittime di un sistema agonizzante.

L’operazione “Spartito” a Torino ha fatto emergere proprio questi aspetti. Indice di un atteggiamento della peggiore Italietta. Come uscirne quindi? Tornando agli Enti Lirici. Scegliendo attraverso bandi pubblici le migliori figure per dirigere un teatro e non i protetti di sindachetti non all’altezza. La Lirica Italiana, nostra ennesima invenzione di eccellenza, dovrebbe parlare attraverso nuovi linguaggi. Esclusive su piattaforme streaming, scenografie degne del ventunesimo secolo, regie cinematografiche. E quando non ci sono i soldi essere scaltri e pensare al parterre.

Non sono novità. Sono le ricette dei grandi teatri mondiali. Loro non hanno pesanti sovvenzioni pubbliche, i soldi se li devono cercare perché questi sì, sono enti privati. Ma il nostro Paese sarebbe veramente pronto a privatizzare tutti i principali teatri? Io credo di no, semplicemente perché ci vogliono risorse per centinaia di milioni di euro ognuno che oggi non ci sono.

Per questo serve un piano pubblico, un ritorno agli enti lirici sotto l’egida dell’ANAC (anticorruzione NDR) ed una legge che faccia chiarezza sulla legalità o meno degli agenti di spettacolo, sorretti oggi dalla sola e famigerata “Circolare Nastasi” che non ha certo il valore di una legge e lascia all’interpretazione del codice civile i confini di questa importante professione anche se sarebbe preferibile un sano ritorno alle audizioni. Insomma ancora una volta si parta dal merito, parola che appare come una chimera in questa Italia del Gattopardo in cui cambia tutto per non cambiare nulla.