di FRANCESCO SINATTI – Giacché tutto quanto si poteva dire di santificante è stato detto, mi intratterrò sull’altra faccia della medaglia.
Giorgio Napolitano, il “migliorista”, ministro degli Esteri del governo ombra del PCI, è stato deputato dal 1953 fino al 1996, ed eurodeputato dal 1989 al 1992 prima di essere nominato senatore a vita da Azeglio Ciampi. Appartiene a quella generazione che tra il 1938 e il 1942 entra a far parte del GUF (Gruppo universitario fascista di Napoli) e da lì come molti altri approdando all’antifascismo. Nel 1944, infatti, entra in contatto con il gruppo di comunisti napoletani che preparano l’arrivo a Napoli di Palmiro Togliatti, l’anno dopo, 1945, aderisce al PCI, e con un “tempismo” invidiabile viene eletto deputato nel 1953.
Uomo d’apparato, e con il doppio petto
Nel generale peana susseguito alla morte, avvenuto il 22 settembre scorso all’età di 97 anni, al di là delle consuetudini funerarie che rendono tutto uniformato dalla celebrazione abbiamo assistito all’ennesima dimostrazione di quello che Montanelli definiva un paese senza memoria. Tutto quanto si poteva dire e scrivere di santificante è stato detto e scritto, sarò quindi giustificato se qui mi intratterrò sull’altra faccia della medaglia.
Giorgio Napolitano era un “uomo d’apparato”. Nel PCI ricoprì un po’ tutte le cariche interne al partito, distinguendosi nelle relazioni internazionali con gli altri partner del Russia sovietica, intrattenendo rapporti con i capi di Stato al di là della “cortina di ferro”; favorevole alla repressione della Rivolta ungherese (1956) da parte delle truppe sovietiche, avrà modo di “ricredersi” aprendo al dialogo con le socialdemocrazie europee: a partire dal 1970, nella doppia veste di conferenziere presso le principali università americane e di uomo del dialogo con la Ostpolitik di Willy Brandt, pur rimanendo “fedele alla linea” d’intransigenza della quale fu esemplare la ferma condanna ad Alexander Solzenycin che in quegli anni da dissidente si dichiarava deluso dal “socialismo reale”.
Non gli fa difetto una certa “doppiezza”, venata di “italico trasformismo”, dal momento che si trova sempre dalla parte giusta, al momento giusto. Sarà un caso, ma la carriera politica del due volte presidente emerito sembra avere proprio una “cifra” in questa attitudine… ”doppia”.
“My favourite communist”
Parrebbe essere questa la vera radice della sua carriera sparata fino al Quirinale (ma solo dopo la morte di Enrico Berlinguer). Nel 1985 affermava che il riformismo europeo doveva essere il punto di approdo del PCI. La NATO non lo infastidisce più di tanto. Un uomo con la levatura politica internazionale di Henry Kissinger non si sarebbe mai speso a “sdoganarlo” dall’anticomunismo atlantico definendo il “My favourite communist”, il mio comunista preferito. Una questione di “sovranismo nazionale”.
Ricordiamo brevemente il contesto storico-politico
Lo stridente “my favourite comunist” di Kissinger e l’allineamento con la NATO, sottolineano quanto fosse poco sovranista e patriottica la visione internazionale di Napolitano, che si adeguava allo status politico dell’Italia come “protettorato” USA”. Una linea che nemmeno Moro, presidente del Consiglio DC, aveva mai accettato, con l’apertura ai comunisti al governo del Paese (le convergenze parallele, tra 1974 e il 1978). L’Italia era campo di battaglia della guerra fredda, nazione strategica e in prima linea per entrambi i blocchi (USA e URSS). Le “convergenze parallele”, stigmatizzate da Kissinger nel 1974 durante la visita della delegazione italiana al segretario di Stato USA, saranno l’epicentro di un “colpo di stato bianco”, coperto dal sequestro di Moro (e dalla strage della scorta) nell’agguato di via Fani: fra le sedicenti BR c’erano uomini della Stasi (servizi segreti della Germania Est, paese sotto il dominio sovietico) di cui certo il KGB era informato. Del resto, non era la prima volta che si verificava un evento “altamente” traumatico per la giovane “democrazia” italica.
L’Italia è, da sempre, sottoposta alle trame delle massonerie europee, oltre che nazione a sovranità limitata (da USA e compagnia): dunque gli “ostacoli politici”, in Italia si “rimuovono” sempre con circostanze accidentali e/o violente, che da dall’Unità ad oggi caratterizzano un Paese che non può rivendicare la propria autonomia e autodeterminazione senza che qualche omicidio, strage, sequestro, missile o “bomba” (quella di Mattei, presidente Eni deceduto in un “incidente” aereo, è del 1962), stronchi sin dall’inizio qualsiasi tentativo di uscire dalla sfera d’influenza franco-anglo americana.
La quarta economia manifatturiera al mondo ha dispiegato le vele, il bel paese va a tutto vapore dopo una lunga stagione di shock (endogeni ed esogeni), il “Made in Italy”, “l’Italia da bere”, “i mondiali di calcio 1982”, un socialismo con forti venature nazional patriottiche, hanno preso in mano il Paese.
Bettino Craxi è il novello “uomo solo al comando”, presidente del Consiglio di un Paese a democrazia parlamentare sì, ma tanto sudamericana, quanto “stracciona”: ha appena vinto i mondiali di calcio dell’1982, in Spagna (dal 1938, solo un secondo posto a Città del Messico Italia – Germania 4-3). L’Italia è tutta in piazza, un’euforia pazzesca, come non se ne vedrà più in questo Paese, parevano “tutti” toccare il cielo con un dito. La “liretta” svalutata ci assiste nell’export, l’Italia sembra avvolta da un nuovo “boom economico” che non si respirava d’agli anni sessanta. Durerà? Poco… Come sempre!
Craxi: “l’Achille Lauro” e l’ultimo rigurgito di sovranista del “Made in Italy”
Novembre 1985, nel Mediterraneo c’è una nave da crociera con i passeggeri che si godono la traversata tra l’Italia e l’Egitto: l’Achille Lauro (non il cantante, ma l’impresario navale napoletano). Un commando palestinese clandestino ha scelto la nave a scopo dimostrativo, i terroristi la sequestrano con i passeggeri a bordo rivendicando l’autodeterminazione dello Stato palestinese, fra loro sceglieranno Leo Klinghoffer, un ebreo americano in seggiola a rotelle. Lo “giustizieranno” buttandolo dal ponte in mare.
Mentre il commando terrorista, Arafat e Abu Abbas (che hanno contribuito alla soluzione diplomatica), stanno già volando alla volta di Cipro, due intercettori americani si alzano in volo affiancando il 737 costringendolo ad atterrare nella base Nato di Sigonella. Il velivolo, appena tocca terra, viene circondato dai Marines che rivendicano l’estradizione del commando palestinese. Siamo in territorio italiano, nessuno può impedirci di esercitare la nostra sovranità, incredibile a dirsi! Mai visto! Marines, circondati dai VAM e dai Carabinieri presenti nella base ai quali si aggiunge un altro contingente fatto arrivare da Catania agli ordini del generale Bisognero. Che sta succedendo?
Il presidente del consiglio Craxi è deciso a far rispettare il diritto internazionale, e nonostante gli americani rivendichino l’estradizione del leader Abu Abbas dovranno cedere all’intransigenza italiana. L’Italia, forse per la prima, e sicuramente ultima volta, uscirà a testa alta da un braccio di ferro con gli USA!
La questione si chiuse, in seguito, con il rientro in patria del capo palestinese, condannato poi in contumacia in Italia all’ergastolo, ed una “crisi” di governo rientrata rapidamente.
Viva Craxi che difende la dignità dell’Italia, lasciata a se stessa
Dieci anni dopo, nel ’92, Craxi viene coinvolto nello scandalo meglio conosciuto come “mani pulite”, il solito “colpo di stato bianco”, si salvano solo i comunisti, il cui tesoriere, Primo Greganti, il signor “G”, non parla, tenendo così fuori la nomenklatura del partito. Giorgio Napolitano dov’era? Prima e durante l’esplosione di Tangentopoli, durante i finanziamenti sovietici al suo partito?
Altro scandalo a orologeria. Colpo di mano dei “soliti noti” (americani). Che spazzano via la classe politica della prima Repubblica, insieme al leader più rappresentativo: Craxi. Tutti ad eccezione dei comunisti. Mentre proprio quell’anno, nel 1992, Napolitano, veniva nominato presidente della Camera dei deputati.
Una difesa formale del Parlamento
Il 2 febbraio 1993 all’ingresso posteriore di palazzo Montecitorio si presentò un ufficiale della Guardia di Finanza su mandato della Procura della Repubblica di Milano con un ordine di esibizione di atti: si riferiva agli originali dei bilanci dei partiti politici (peraltro già pubblicati in Gazzetta Ufficiale) per verificare se talune contribuzioni a politici inquisiti fossero state dichiarate a bilancio, secondo le prescrizioni della legge sul finanziamento pubblico ai partiti. Il Segretario generale della Camera, su istruzioni del presidente, oppose l’immunità di sede, cioè la garanzia delle Camere per cui la forza pubblica non vi può accedere se non su autorizzazione del loro presidente.
In compenso, il presidente della Camera, Giorgio Napolitano, alla legittima alzata di scudi in difesa dell’autonomia del Parlamento, al tempo stesso se ne lavava le mani dal “via libera” della magistratura contro i membri del Parlamento indistintamente condotti alla gogna mediatica.
Bettino e quelli che non c’erano o se c’erano dormivano
Ovviamente, Craxi al processo “Cusani” non fece mistero delle sua opinione in merito al Napolitano, ministro degli Esteri del PCI: “…aveva rapporti con tutta la nomenklatura comunista dell’Est a partire da quella sovietica, non si fosse mai accorto del grande traffico che avveniva sotto di lui, tra i vari rappresentanti e amministratori del PCI e i paesi dell’Est? Non se n’è mai accorto?”.
La fuga di Licio Gelli capo della P2
La fine del secolo, per il senatore a vita Giorgio Napolitano, è una susseguirsi di “gaffe” istituzionali: dalle critiche per la costituzione dei centri d’accoglienza, costituiti con la legge Turco-Napolitano, alla fuga di Licio Gelli dall’Italia quando Napolitano era ministro degli Interni.
Il complotto internazionale contro Berlusconi
Il 10 maggio del 2006, alla quarta votazione Napolitano viene eletto undicesimo presidente della Repubblica italiana con 543 voti su 990 votanti. La sua attività si distingue fin dai primi atti, con la discussa concessione della “grazia” a Ovidio Bompressi coinvolto e condannato per l’omicidio Calabresi, proseguendo, poi, senza troppi “scossoni” istituzionali fino al 2011, anno “fatidico” per la sovranità italiana. La sovranità dell’Italia, se mai sia esistita, è al capolinea: “ce lo dice l’Europa” nel 2011; i capi di Stato di Francia, Inghilterra e il segretario di Stato USA, Hillary Clinton, fanno “saltare” l’ultimo governo legittimato dal voto popolare, il governo Berlusconi IV. E Giorgio Napolitano, naturalmente, non sapeva nulla.
Napolitano, guarda caso!, aveva già sondato la disponibilità di Mario Monti alla successione del Cavaliere “mascarato”. Le consultazioni (preventive) ad un cambio d’esecutivo erano state avviate da tempo, i colloqui con Carlo De Benedetti e Romano Prodi tra la primavera estate del 2011 profilano già il prossimo candidato a Palazzo Chigi, basterebbero questi informali contatti per delegittimare l’esecutivo, ma la manovra di palazzo continua, anche in Europa, e Napolitano… Citazione integrale:
La pietra tombale di Re Giorgio sul Cavaliere…
“… con uno degli ultimi atti formali …la Presidenza della Repubblica, nega al premier l’uso del decreto per l’approvazione della manovra economica che dove tranquillizzare l’Ue: questo manderà Berlusconi – nei fatti – completamente disarmato al G20 di Cannes del 3 novembre, ultima sua uscita internazionale da presidente del Consiglio. L’autorevolezza dell’esecutivo è ormai lesa. A mettere il timbro sulla morte del governo uscito trionfatore alle elezioni di tre anni e mezzo prima ci saranno due successivi atti istituzionali. Il primo è l’approvazione alla Camera del Rendiconto generale dello Stato con appena 308 voti a favore, numero inferiore di otto unità rispetto alla maggioranza assoluta di 316: il governo non esiste più. La pietra tombale la depositerà Napolitano l’11 novembre, con la nomina a senatore a vita di Mario Monti..” (Il Giornale, “Napolitano e quel novembre 2011….”, Lorenzo Grossi).
… Anche a costo di far pagare un caro prezzo all’Italia
Complici dell’operazione, Merkel e Sarkozy sorridono maliziosamente nelle foto di rito alle spalle di un premier già delegittimato, al summit del 3 novembre del 2011! Una vera e propria “combine” fra vertici Europei e la presidenza della Repubblica, degna di un romanzo di “cappa e spada”, che priverà gli elettori italiani di quel residuo di “sovranità” che dovrebbe appartenere ad ogni paese democratico. “Ca va san dire”, subito dopo il vertice, lo spread Bund – Btp schizzerà su vette mai toccate prima: 5,45%, siamo “con le spalle al muro”! “Fate presto”, titolerà il Sole 24 ore del 10 novembre 2011, una supplica ai vertici del complotto.
Il Marchese del Grillo
Tutto il corso presidenziale viaggia in perfetto allineamento con il meglio della commedia all’Italiana. Come diceva il “Marchese del Grillo”, impersonato da Sordi al top della sua ecumenica romanità: “Io so io, e voi chi cazzo siete…? Andatevelo a pijá ender culo, Ahó!”.
Su De Rica non si può. La trattativa Stato-Mafia
Ricordate quella vecchia pubblicità del Carosello? Anche su Giorgio Napolitano “non si può”: con lui o contro di lui. Non è ammessa nessuna critica. Ma che ca…. bisogna fare in questo Paese per essere considerati un traditore della patria? Presidente emerito, ma anche intercettato al telefono con l’allora ministro degli Interni Nicola Mancino, indagato sulla “trattativa Stato – Mafia”: “….al tempo indagato dai magistrati della procura di Palermo per falsa testimonianza dopo la sua deposizione al processo per la mancata cattura di Bernardo Provenzano a Mezzojuso nel 1995″ (Antimafia, “Muore Napolitano il “comunista” della trattativa Stato – Mafia”, Aron Pettinari Luca Grossi, 22 settembre 2023). Mancino è stato poi assolto nell’ambito del Processo Trattativa.
L’argomento del contendere sono le bobine delle intercettazioni telefoniche in mano alla Procura di Palermo, nastri incisi dalla Dia (Direzione distrettuale antimafia), oggetto d’indagine del tutto “casuale” e non ritenute rilevanti al fine del procedimento, come tali non utilizzabili. Nonostante ciò la Presidenza della Repubblica volle che fossero distrutte. Udite…udite! Incredibile a dirsi, cosa c’era da nascondere al punto da non poterle ascoltare? Non lo sapremo mai. Il gesto però, è di una tale gravità e drammaticità che allunga ombre di “legittimatissimo” sospetto su ciò che si dissero le due istituzioni più rappresentative della “legalità” a proposito della trattativa Stato-Mafia! Perché il “presidente demerito” cerca di sfuggire al confronto con i magistrati p.m. V. Teresi e N. Di Matteo?
La Repubblica dei ciechi e dei sordi, altro che sovranità nazionale!
A questo punto: “Omertà”, come articolo primo di un astratta costituzione nazionale (non scritta) reciterebbe: “…L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sull’omertà. La sovranità appartiene al popolo, ma solo il giorno delle elezioni”. Sentite come suona meglio, più aderente alla realtà del Paese, che non il vecchio art. 1 della Costituzione repubblicana (“L’Italia è una repubblica fondata sul lavoro…). Fa molto più repubblica sudamericana “o piombo, o plata”. Vi sentite più tranquilli, adesso che avete letto questo articolo, oppure vorreste vivere in un altro Paese?
Francesco Sinatti è nato a Siena, esperto di giornalismo di inchiesta.