di ALDO BELLI – La vicenda giudiziaria torinese potrebbe rivelarsi più complessa di quanto fino ad oggi i media hanno scritto.
William Graziosi, Alessandro Alberto Ariosi, Roberto Guenno, Andrea Paolo Maulini, Priscilla Alessandrini, sono stati rinviati a giudizio. Il sostituto procuratore della Repubblica di Torino Elisa Buffa ha firmato la conclusione delle indagini, il 17 febbraio scorso. I difensori degli indagati hanno scelto la strategia difensiva di non presentare, nei venti giorni previsti, memorie e documenti, e di non fare rilasciare dichiarazioni spontanee ai propri assistiti, trasferendo così la battaglia legale direttamente in udienza durante il dibattimento. In altri termini, hanno scelto di non scoprire le carte con le quali contesteranno, nel giudizio di primo grado, le accuse formulate.
In Italia, dal 1989, è invalso l’uso di emettere le sentenze di colpevolezza sulle pagine dei giornali prima che in un tribunale: una forma barbara dell’informazione senza eguali nel mondo civile; un metodo di fare politica che ha prodotto una indigesta confusione tra il lavoro della magistratura inquirente e la sua rappresentazione, recando danno all’immagine stessa della Giustizia. La stampa riflette sempre la realtà sociale: e anche in questo caso, l’istinto primordiale della forca contro l’ingiustizia che si ripete quando la politica non è in grado di raccogliere e trasformare la protesta in cambiamento. Tuttavia, il giornalismo è nato non solo per registrare i fatti, ma anche per guidare l’opinione pubblica ad utilizzare la testa anziché la pancia: watchdog journalism dicono gli inglesi, il giornalismo è il cane da guardia della democrazia.
Tutti gli indagati di Torino, dunque, rimangono innocenti fino alla sentenza di condanna definitiva: così stabilisce la nostra Costituzione. Lo ripetiamo sempre, e non per mettere le mani avanti a possibili querele, e neppure per sminuire l’importanza del lavoro degli inquirenti: più semplicemente, perché crediamo nella civiltà dello Stato di Diritto. Ho sempre detestato le sentenze emesse fuori da un’aula di giustizia: perché conosco bene la storia d’Italia, incluso quella tra il 1923 e il il 1945.
A Torino è stata aperta un’inchiesta (pubblicamente nota dal maggio 2020, ma iniziata assai prima) che ruota intorno al Teatro Regio. Il procuratore aggiunto Enrica Gabetta e il pubblico ministero Elisa Buffa, coadiuvati dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Torino, hanno condotto un lavoro esemplare. Ciò non significa che possano essere giunti anche a conclusioni errate: ma nel merito non si sono arrampicati sugli specchi per fini diversi da quello per il quale hanno prestato il loro giuramento; e nella forma hanno seguito il rigore della loro professionalità con l’astensione da ogni pubblicità: in silenzio hanno indagato ed in silenzio hanno concluso le indagini con documenti alla mano.
I delitti contestati sono quelli indicati negli articoli 110, 317, 319, 321, 346bis, 353 del codice penale. Li elenco indipendentemente dalla loro attribuzione agli indagati, solo per dire che si tratta di reati importanti: appartengono al titolo II Dei delitti contro la Pubblica amministrazione. Non escludo che le dinamiche contestate potrebbero assumere valore oltre l’ambito torinese: l’unità nazionale vale anche per l’applicazione delle leggi. La conclusione delle indagini preliminari non ha fatto imparzialità: gli indagati hanno ricevuto tutti pari attenzione. Ci sarà da capire, strada facendo, se dalle carte processuali voluminose non emergeranno anche “delitti” consumati da persone che al momento non giustificavano il loro inserimento nella lista degli avvisi di garanzia: ma che potrebbero essere ugualmente chiamati a rispondere delle loro azioni. Vedremo pure se qualcuno, nel corso del dibattimento, dovesse ritrovarsi trasferito dal banco dei testi a quello degli accusati per falsa testimonianza.
La vicenda torinese, in conclusione, potrebbe rivelarsi più complessa di quanto fino ad oggi i media hanno scritto. Sicuramente, diversa dalla rappresentazione che la stampa ha dato: e questo è il punto.
Che qualcosa non quadra, l’ho scritto fin dall’inizio. Non sono incline alle teorie del complotto, mi limito a leggere i fatti e a metterli insieme. Non è detto con ciò, che il risultato finale sia l’esito di un processo intenzionale: qualche volta sì, altre volte no, spesso solo il frutto banale del ‘copia e incolla’ di un giornale sull’altro, ma il quadro non cambia. Ho voluto scorrere nuovamente tutti gli articoli pubblicati dal maggio 2020: hanno (pressoché) tutti, la foto in copertina dell’ex sovrintendente del Teatro Regio William Graziosi. Gli indagati sono cinque, dei quali tre comprimari (nel senso della loro notorietà mediatica nazionale) e due “allenatori” (sintetizzo con un esempio), uno del Jesina Calcio e l’altro del Milan: secondo voi a chi spetta l’onore del titolo da prima pagina? Quale dei due, secondo voi fa più notizia?
Ho imparato che il Potere ogni qual volta si trova in pericolo, tira fuori il mostro. E’ il capro espiatorio rivisto e corretto nella comunicazione moderna. E William Graziosi è un mostro perfetto: anche perché senza santi in paradiso.
L’oggetto dell’indagine giudiziaria torinese riguarda delitti contro la Pubblica amministrazione. Delitti ripugnanti per la comunità, in un corso di Filosofia del Diritto potremmo dire: l’avere tradito la fiducia dei cittadini per i quali si è stati chiamati a rappresentarli e a gestire il loro denaro in un determinato servizio nel loro interesse. Allora mi chiedo: vista la grande attenzione riservata dai media a Graziosi nel contesto di un caos che ha portato il Teatro Regio addirittura al commissariamento, durante il quale è cresciuta nell’opinione pubblica la domanda di trasparenza sulla gestione del Regio (e poi non solo di questo Teatro in Italia), perché di questo non si scrive? Perché nessuno ha scritto sui dieci milioni di euro di passività improvvisamente comparsi nel bilancio del Regio, chiedendo di renderne conto pubblicamente? Perché nessuno scrive dei contributi straordinari elargiti dal Mibact mascherati dal Covid che invece con la pandemia niente hanno a che fare? Perché nessuno (tranne Toscana Today) ha difeso il diritto del consigliere comunale Raffaele Petrarulo di avere visione dei verbali pregressi del collegio dei revisori dei conti del Teatro Regio?
Ecco, quindi, il Mostro Graziosi, indipendentemente dalle proprie responsabilità che saranno solo i giudici a stabilire (anche se finirà per essere condannato pubblicamente sulla stampa prima ancora che in un’aula di tribunale); mentre l’allenatore del Milan (che a differenza di William Graziosi è un uomo potente dal quale nelle redazioni dei giornali forse è meglio tenersi alla larga) continuerà a concludere contratti in Serie A e in Champions League (come è suo diritto, ovviamente, non avendo subito alcun provvedimento cautelativo di restrizione); e la Casta dei Teatri, intanto, è salva agli occhi dell’opinione pubblica.
Per fortuna dei torinesi e degli italiani, al procuratore aggiunto della Repubblica di Torino Enrica Gabetta e al pubblico ministero Elisa Buffa non interessano i mostri, ma solo la verità della giustizia.