di GIOVANNI VILLANI – L’opera di Bellini contraddistinta per l’elegante regia di Elena Barbalich, scene e costumi di Tommaso Lagattolla.
Dopo un lungo tour iniziato già da settembre al Teatro Grande di Brescia e proseguito al Ponchielli di Cremona, al Sociale di Como, al Fraschini di Pavia e per fine ottobre al Teatro di Pisa (committente del nuovo allestimento), l’opera “Norma” di Bellini si è contraddistinta per l’elegante regia di Elena Barbalich, le scene e i costumi di Tommaso Lagattolla. Ma ha pure messo in mostra due giovani dal promettente avvenire: il tenore pugliese Antonio Corianò e il direttore veronese Alessandro Bonato alla guida dell’orchestra I Pomeriggi di Milano, elogiati ambedue dalla critica e dal vivo consenso del pubblico melomane.
Entusiasta, Antonio Corianò, per il conseguimento di un altro traguardo che va ad aggiungersi agli ultimi successi. “Ho sempre avuto la passione per il canto – ci ha confessato sorridente. Da bambino cantavo sempre. Sono cresciuto a Squinzano, in Puglia, una cittadina che vantava la meritata fama di “città della musica” ed era nota per la sua banda musicale. Ricordo che mio nonno mi portava sempre ai concerti in piazza e il repertorio della banda erano le sinfonie e le arie d’opera: così sono cresciuto con l’opera nel sangue. La voce non contava, per me era importante cantare: non sapevo neppure di avere una voce adatta all’opera. Me lo disse però un giorno, il soprano Renata Scotto, che mi sentì occasionalmente, invitandomi ad affrontare seriamente il canto. Mi iscrissi così al Centro Universale del Bel Canto di Parma e successivamente all’Accademia Filarmonica di Bologna. Ma devo alla Scotto la piena consapevolezza delle potenzialità della mia voce e studiando con lei ho acquisito la tecnica per farla defluire con naturalezza”.
Un bel rischio affrontare il Pollione di Norma.
“È un dominatore, un uomo impulsivo, oserei dire una sorta di macho ante litteram, convinto che le donne non possano non cadere ai suoi piedi e che in amore rivendica il tradimento come un destino…. Con la sua ultima frase: “col mio rimorso è amor rinato” salirà al rogo accompagnando Norma: un tardivo riscatto. Però io sono Antonio e nel mio Pollione ho messo anche la mia anima”.
Lei è più noto all’estero che in Italia. Come mai?
“Si è vero, trascorro la maggior parte dell’anno in Spagna, Germania e Stati Uniti. Anche il mio prossimo debutto sarà in al teatro Liceu di Barcellona, darò la mia anima e la mia voce al Mario Cavaradossi di Tosca.
Che impressioni ha di questa Norma?
“È uno spettacolo che merita di essere visto. Norma è un’opera magnifica e chi verrà a teatro avrà modo di poter ammirare uno spettacolo bene rifinito perché frutto della grande sinergia creatasi fra tutti gli artisti che vi partecipano. Io penso che solo quanto parte dal cuore può arrivare al cuore del pubblico E noi, il nostro cuore, ce lo abbiamo messo tutto”.
Alessandro Bonato è invece veronese, attualmente direttore principale della FORM-Orchestra ilarmonica Marchigiana, il più giovane a ricoprire tale ruolo nelle tredici Istituzioni Concertistico orchestrali italiane. Quest’anno ha debuttato al Musikverein di Vienna e allo Sferisterio di Macerata, con una produzione del Barbiere di Siviglia che ha ottenuto unanimi ed entusiastici approvazioni di pubblico e critica. Nel 2018 è l’unico italiano e candidato più giovane ad essere ammesso al concorso “Nicolai Malko Competition for young conductors” di Copenaghen, dove vince il terzo premio. Ha iniziato lo studio del violino a undici anni, al Conservatorio Dall’Abaco di Verona e successivamente della viola, della viola barocca, dedicandosi anche alla composizione e alla direzione d’orchestra sotto la guida di Pier Carlo Orizio, Donato Renzetti e Umberto Benedetti Michelangeli. Nel marzo 2016 è chiamato a dirigere Il flauto magico alla Royal Opera House Muscat in Oman.
Nel marzo 2019 è invitato per la prima volta a Pesaro, nell’ambito delle celebrazioni per il 150° dalla morte di Gioachino Rossini, per dirigere La cambiale di matrimonio e quindi alcuni concerti compresa la Petite messe solennelle. Sempre nel 2019 dirige Gianni Schicchi di Puccini, Il maestro di cappella e Il matrimonio segreto di Cimarosa al Teatro Filarmonico di Verona. Debutta poi a Yerevan, in Armenia, con L’elisir d’amore di Donizetti. Nel settembre 2019 è invitato a dirigere la Filarmonica della Scala, e successivamente, è a Lima in Perù per un galà lirico sinfonico dedicato ai 500 anni dalla scomparsa di Leonardo da Vinci. È stato inoltre ospite del Festival pianistico internazionale di Brescia e Bergamo, del Festival SettecentoNovecento di Rovereto, delle Settimane musicali di Ascona.
“Norma – ci precisa il giovanissimo direttore – è uno dei più importanti titoli operistici della storia e si merita il più grande rispetto. Come tendo a fare sempre, parto dalla partitura, da quel che è scritto, da ciò che il compositore mi ha lasciato attraverso le note; analizzo la partitura nota per nota, segno per segno, studio il libretto e lo metto in relazione con la musica, trovando ogni possibile affinità e correlazione (l’opera di fatto è testo in musica, quindi la parola ha un ruolo fondamentale nell’economia generale).
Ma con i cantanti maestro, come è abituato a lavorare?
“Con loro lavoro fin da subito sulla pronuncia, sulla parola, sulle possibili inflessioni delle frasi testuali e musicali cosi da identificarne gli affetti (i recitativi, per esempio, li faccio sempre declamare prima che cantare). Affronto poi l’aspetto più musicale, ossia la tecnica, i respiri, la fraseologia e l’interpretazione, caratterizzando al meglio ogni personaggio”.
E con l’orchestra?
“Praticamente uso lo stesso metodo. Cerco di traghettarla in questo straordinario percorso, cantando tutta l’opera, spiegando i segreti che ho scoperto, lavorando accuratamente sul suono (non ricerco il “bel” suono, ma il suono “giusto” per ogni circostanza). Tendo ad essere particolarmente esigente e richiedere molte prove”.
Quali impressioni su questa Norma?
“Gli aspetti su cui mi sono soffermato e sui quali ho riflettuto a lungo sono tre. Primo: la quasi totale assenza di tempi lenti (ci sono solo 2 “largo” in tutta l’opera). Ciò mi ha fatto desumere che l’intento del compositore fosse quello di avere un continuo incalzare nell’azione musicale e scenica, quasi senza riuscire a prendere fiato. Un susseguirsi di vicende e affetti estremamente veloce e denso. Secondo: le puntigliose e innumerevoli declinazioni che Bellini dà alle due agogiche prevalenti dell’opera, ossia l’Allegro e l’Andante, molto, vivace, marziale, assai, maestoso, con fuoco, ecc…, proprio per descrivere, pur nella medesima agogica, diversi caratteri. Terzo: l’uso delle tonalità, con un’enorme prevalenza delle maggiori a discapito di quelle minori, riservate solo per alcuni specifici momenti. L’uso che il compositore fa del “maggiore” è abbastanza strano e significativo: lo ritroviamo in alcuni dei momenti più tensivi e drammatici dell’opera, quasi a voler indicare che, nella drammaticità e nel dolore, qualcuno che gioisce o ne ricava qualcosa c’è sempre”.

Giovanni Villani è nato a Verona, giornalista pubblicista dal 1990, critico musicale del quotidiano L’Arena di Verona. Dirigente amministrativo. Laureato all’Università di Bologna in Storia e all’Università di Verona in Arte.