di GIOVANNI RANIERI FASCETTI – L’isola di utopia rimase segnata nella mappa dei sognatori, ma le fiamme dell’indipendentismo continuarono.
Il pane della Pace e della Libertà, di cui noi oggi ci nutriamo quotidianamente ma che spesso sprechiamo o, fatto seccare o ammuffire, gettiamo nella spazzatura, è fatto della carne e del sangue di tutti coloro i quali, sudditi, servi, schiavi, oppressi o miserabili, hanno nel passato osato alzare la testa, spezzare le catene che li opprimevano, insorgere, conquistando la dignità di uomini liberi in nome dei più alti ideali della Libertà, dell’Uguaglianza, della Fratellanza.
Nell’eterna lotta del bene contro il male le loro sofferenze, talvolta terribili, hanno permesso il progresso dell’Umanità. Vi fu un popolo oppresso forse più degli altri popoli e che più di altri ha scritto la sua storia col sangue insorgendo, insorgendo, sempre insorgendo, per secoli e secoli e il suo momento di massima gloria ci è raccontato da Francesco Domenico Guerrazzi nel romanzo “Pasquale Paoli, ossia la rotta di Pontenuovo”; attraverso una lunga digressione, il Guerrazzi narra le vicende del popolo corso dall’età antica al 1700.
Il racconto avviene per bocca di un frate, durante la faticosa navigazione da Livorno alla Corsica, una navigazione resa difficile dalle condizioni del mare e dal pericolo delle navi francesi dislocate a pattugliare il Mar Ligure.
Ad ascoltare il racconto è James Boswell, probabilmente un agente segreto della Corona britannica che si è imbarcato a Livorno sulla mezza galera, con lettere da consegnare a Pasquale Paoli; Boswell ascolta l’infinito e doloroso racconto delle plurisecolari sciagure dei Corsi; nel petto del frate ardono il fuoco dell’amor di patria e della ribellione e le sue accese parole descrivono le infinite stragi, violenze e vessazioni subite dalla sua gente.
Questa narrazione notturna altro non è se non una sorta di rito di iniziazione che il Boswell deve subire, prima di poter poggiare il suo piede sull’isola. Nel buio tenebroso di una notte di tempesta, nell’ansia continua del pericolo incombente di colare a picco, nel timore del tradimento da parte del capitano della nave, nella sofferenza causata da mal di mare, insomma, nel complesso di tutti questi elementi, si proietta il riflesso del travaglio storico di questo popolo che sulla sua isola, stretta dalle tempeste della cupidigia umana e dell’odio di tanti oppressori ha cercato di navigare attraverso il tempo cercando sempre di puntare la sua prua verso un’alba di profonda quiete e di serena luce.
Il Boswell, al termine del racconto, che coincide con il suo arrivo nelle acque della Corsica, sarà così pronto a comprendere, fin nella loro radice profonda, le ragioni della Rivoluzione Corsa e le manifestazioni di giustificata ferocia e determinazione violenta di un popolo in lotta.
Il flemmatico, razionale e calcolatore animo inglese sarà peraltro magnificamente travolto e trascinato dal turbine della rivoluzione, sarà rapito dall’arcaica carica di rabbia di un popolo che si ribella all’aristocrazia e all’ingiustizia, due cose che nel mondo di allora spesso erano coincidenti. Rimandiamo ai libri, alla lettura del Guerrazzi, ai siti internet che raccontano la storia della Corsica per un doveroso approfondimento. Basti dire che fin dalla più remota antichità mani di potenti si sono stese sulla Corsica fin da quando i greci Focesi provarono a colonizzarla e di fronte alle sue coste, di fronte ad Aleria (Alalia), nel mar Sardo, si combattè intorno al 540 – 535, la prima grande battaglia navale della Storia: una flotta fenicio – etrusca, con navi di Pisa e di Populonia, si scontrò contro la flotta greca.
Di tutti i dominatori, come il livornese Guerrazzi certifica, soltanto i Pisani, e gli arcivescovi di Pisa che dal tempo di Daiberto sono Primati di tutte le chiese dell’isola, riuscirono ad avere un rapporto pacifico con gli autoctoni. Questo periodo di pace durò finché, dopo la battaglia navale della Meloria vinta dai Genovesi il 6 agosto 1284, i Pisani persero la Corsica e il popolo dell’isola trovò nella Repubblica oligarchica di Genova un padrone progressivamente sempre più avido, gretto e violento.
Terribile dovette sembrare al Boswell questa storia e la volle presentare ai suoi conterranei in un’opera che aveva soprattutto la funzione di sensibilizzare l’Europa alla causa della libertà dei Corsi al momento del suo sbarco, nel 1769, stavano difendendo con le unghie e con i denti il sogno assai breve della loro indipendenza, fatto in pezzi dall’esercito del re di Francia.
Precedentemente l’isola aveva conosciuto un momento di effimera indipendenza: Giacinto Paoli (Morosaglia1681 – Napoli 1763) messosi a capo dei moti rivoluzionari corsi, era stato eletto generalissimo nella Consulta di Rostino del 1734, e aveva promulgato nel 1735 quella che possiamo considerare come la prima costituzione democratica della storia. Essendo la repubblica democratica insostenibile per mancanza dell’elemento primario, ovvero il demos, e dal momento che nell’Europa del tempo, di matrice feudale, non era concepibile una repubblica che non fosse aristocratica, i Corsi stavano per arrendersi quando nel 1736, improvvisamente, sbarcò sull’isola un personaggio fuori dal comune, il barone tedesco Theodor Stephan von Neuhoff la sua impresa era sostenuta addirittura dal bey di Tunisi; subito il popolo corso lo elesse re con il nome di Teodoro I di Corsica, e lui, da buon sovrano emanò editti, dette un simbolo al nuovo regno: la testa di schiavo moro che ha alzato la benda che gli copriva gli occhi e si liberato, iniziò a battere moneta (un conio assai primitivo per la verità), istituì un ordine cavalleresco, cercò di allestire un esercito e dichiarò guerra a Genova.
La penuria di fondi e la superiorità militare e navale dei Genovesi condannò ad una fine precoce questa esperienza politica. Nel novembre dello stesso anno Teodoro lasciò la Corsica percorrendo l’Europa in cerca di sostegni e di riconoscimento della propria legittimità: dopo esser stato nel Regno di Napoli in cerca dell’appoggio della Spagna, sembra che raggiungesse la Russia (Pietro il Grande?); si vocifera di un suo passaggio da Venezia e dell’ordine dato dalla Superba, dalla Repubblica di Genova, al suo ambasciatore sul Canal Grande, Carlo Goldoni, di trovare Teodoro e farlo assassinare. Addirittura, più tardi, si compose un’opera teatrale nella quale Teodoro è protagonista: “Il re Teodoro in Venezia” su libretto di Giovanni Paisiello, messa in scena nel 1784. Arrestato per debiti ad Amsterdam riuscì a tornare in Corsica alcune volte dal 1738, al 1743. Nel 1749 lo troviamo a Londra; internato nel carcere dei debitori, venne rilasciato nel 1755, morì l’anno successivo assistito dall’amico Horace Walpole.
Ma dopo questa “avventura storica” così strana, il popolo corso scrisse la pagina più bella della sua storia a partire dal 1755 quando Pasquale Paoli (Stretta di Morosaglia 1725 – Londra 1807), figlio di Giacinto, fu eletto generalissimo e portò il suo popolo alla vittoria e alla creazione di una vera e propria repubblica.
Pasquale, che dopo la fine del regno di Teodoro aveva seguito il padre in esilio nel Regno di Napoli, dove il genitore entrò a far parte dell’esercito. A Napoli il giovane Paoli seguì gli insegnamenti di una delle fulgide menti della Massoneria: Antonio Genovesi (1713 – 1769) economista; il padre gli aveva regalato gli scritti del massone Charles-Louis de Secondat, barone di La Brède e di Montesquieu, universalmente conosciuto come Montesquieu (1689 – 1755) quindi il giovane corso si nutriva dei luminosi frutti della Ragione, frutti che per la prima volta affermavano l’uguaglianza tra tutti gli uomini, predicavano l’avversione per ogni tirannia e per ogni superstizione che desse una qualche giustificazione alle prevaricazioni che pochi uomini, consociati nella ben organizzata e sperimentata “mafia” aristocratica, praticavano da secoli sulle moltitudini. Pasquale aveva infine intrapreso la carriera militare nell’esercito entrando a far parte del Reggimento “Corsica”, poi del Real Farnese di stanza a Siracusa e Porto Longone dal 1744 al 1749.
Così formato in Economia, in Filosofia e nell’arte della Guerra, mentre passeggiava per le strade di Siracusa, Paoli sognava di imbarcarsi per la Corsica e accendere sull’isola il fuoco della rivoluzione. Così fece il 29 aprile 1755.
I Corsi, da parte loro, scelto il Paoli per Generale della Nazione Corsa, comandante assoluto, ebbero il premio di veder realizzato il sogno della loro indipendenza. Un sogno di breve durata purtroppo. Mentre Paoli costruiva il nuovo stato varando una moderna Costituzione che prevedeva la partecipazione delle donne al voto, batteva moneta, innalzava la bandiera con la testa di moro e quella con l’Immacolata concezione, fondava l’Università di Corte, organizzava l’istruzione pubblica, sviluppava l’agricoltura e i commerci, Genova, impossibilitata a riprendere il controllo dell’isola la cedeva al Re di Francia. Nel 1868 cinquantamila soldati del re sbarcavano con una formidabile dotazione di artiglierie. Forse il re si era illuso di risarcire lo smacco recente della perdita del Canada, caduto in mano alla corona inglese, con una nuova acquisizione territoriale in area mediterranea. I Corsi tentarono una strenua resistenza. Tra i fuggiaschi che si inerpicavano sulle montane e attraversavano i boschi c’erano anche donne molte delle quali armate, e tra queste Letizia Ramorino con il marito Carlo Maria Bonaparte; Letizia in quel momento incinta, portava in grembo il figlio Napoleone.
Le truppe di Pasquale Paoli subirono una disastrosa sconfitta nella battaglia del Pontenovo. Paoli si mise in salvo, nascosto in una botte di birra con doppiofondo sulla nave di James Boswell, altre navi inglesi imbarcarono centinaia di combattenti. I reduci furono sbarcati nel porto di Livorno con il benestare del Granduca di Toscana e acclamati dal popolo livornese. Stipendiati dall’Inghilterra, raggiunti dalle mogli e dai figli, un migliaio di esuli furono alloggiati nei paesi del Vicariato di Vicopisano.
Clemente Paoli, fratello di Pasquale, da quel momento loro comandante per le incursioni in Corsica, prese alloggio nella Certosa di Pisa. Un gruppo di Corsi cominciò trovò rifugio in una sperduta casa nei boschi del Montenero; la casa ha conservato nel tempo il nome di “casa dei Corsi” e le relative leggende: si narrava che da quella casa i Corsi scambiassero segnali luminosi con la Corsica per organizzare le rapide incursioni dei resistenti.
La presenza di questi Corsi dovette peraltro avere un’influenza sulla formazione di quello che è stato uno dei più grandi spiriti ribelli europei a cavallo il Settecento e l’Ottocento, il pisano Filippo Buonarroti che agli esordi della sua carriera rivoluzionaria fu in Corsica e qui dette vita ad un periodico rivoluzionario.
Pasquale Paoli, lasciata la Toscana, attraversò l’Europa, accolto con entusiasmo ovunque; cercava e sempre cercherà appoggi per veder tornare libera la Corsica. In Prussia? Si incise su lastra di rame un suo prezioso ritratto dal vero; la didascalia lo dichiara “difensore della nostra Legge” forse i principi della Massoneria? un altro ritratto fu dipinto a Londra e, sempre a Londra dove decise di stabilirsi, venne iniziato alla Libero Muratore ed entrò in contatto con Benjamin Franklin e Filippo Mazzei; con loro fu il patrono della Società segreta dei Sons of the Liberty che aveva per obiettivo l’indipendenza dei coloni americani. La gratitudine dei cittadini della prima grande repubblica massonica della storia, gli Stati Uniti d’America nei suoi confronti è espressa dall’intitolazione a Paoli di ben quattro città della Confederazione.
Il suo sogno rimase fino all’ultimo quello dell’indipendenza della Corsica, eventualmente anche in forma di regno, se non fosse stato possibile costituirla di nuovo in repubblica. Deluso da Napoleone,, che negò ai Corsi l’indipendenza e che si rivelò anche traditore dell’idea repubblicana, Paoli confidò nell’azione antifrancese dell’Inghilterra.
Morì con il suo sogno, ma anche con la certezza di aver speso bene il tempo della propria vita nel generoso tentativo di dare la felicità al suo popolo.
L’isola di utopia rimase segnata nella mappa dei sognatori e tale rimarrà anche se, recentemente, le fiamme dell’indipendentismo che sembravano assolutamente sopite, sono improvvisamente tornate ad illuminare la lunga notte della storia corsa.
«Siamo Còrsi per nascita e sentimenti, ma prima di tutto ci sentiamo italiani per lingua, costumi e tradizioni… E tutti gli italiani sono fratelli e solidali davanti alla Storia e davanti a Dio… Come Còrsi non vogliamo essere né servi e né “ribelli” e come italiani abbiamo il diritto di essere trattati uguale agli altri italiani… O non saremo nulla… O vinceremo con l’onore o moriremo con le armi in mano… La nostra guerra di liberazione è santa e giusta, come santo e giusto è il nome di Dio, e qui, nei nostri monti, spunterà per l’Italia il sole della libertà.»
Giovanni Ranieri Fascetti, pisano, classe 1965, è uno storico dell’Urbanistica, archeologo, esperto di Gestione e Marketing del Patrimonio, Cittadino Onorario di Vicopisano e Premio Pegaso d’Oro della Regione Toscana, docente di materie umanistiche presso l’I.T.S. “Pacinotti-Galilei” di Pisa. E’ Presidente del Gruppo “Ippolito Rosellini”, direttore della Rocca del Brunelleschi a Vicopisano e Custode del Tempio di Minerva a Montefoscoli.