Povera patria, schiacciata dagli abusi di potere

di GIANCARLO ALTAVILLA – E’ difficile capire. Punire due azioni analoghe e opposte. La stessa azione una volta illecita e un’altra no.

Siamo un Paese complicato nel quale è spesso difficile orientarsi tra gli oscuri precetti della legge e ancor di più nelle vaghe e mutevoli interpretazioni delle norme. Il diritto non è una scienza esatta, si sa; e tuttavia la sua prima e fondamentale connotazione deve essere quella della certezza, della conoscibilità e della condivisione.

In uno stato di diritto devono essere chiari il lecito e l’illecito e deve essere agevole la conoscenza di norme e precetti. Il diritto deve essere anche condiviso, perché esso è espressione dell’organizzazione democratica di un popolo, nella quale regole e sanzioni sono poste a presidio della convivenza civile.

Cosa mi affligge? La cronaca giudiziaria. In questi giorni il capo della Lega è stato rinviato a giudizio per aver (secondo la procura della Repubblica) illecitamente deprivato della libertà di sbarco a terra alcuni migranti, stipati su una nave e (indegnamente) costretti a sostare in mare per giorni, sotto il sole estivo (lo stesso del Papete, ma molto meno festoso). In questi medesimi giorni, nei confronti dell’ex sindaco di Riace è stata formalizzata una richiesta di condanna a sette anni di reclusione, per aver esagerato nell’accoglienza dei migranti provenienti dal mare. Insomma, è reato impedire gli sbarchi, ma è reato anche accogliere i migranti.

Mi intendo poco di reati e condanne, e mi risulta arduo capire quale sia la coerenza (logica, prima che giuridica) di punire due condotte analoghe, ma di segno opposto. Non è solo un fatto di confusione, ma di inquietudine: ai migranti non può essere negata la libertà di sbarco, ma chi li accoglie e li aiuta a integrarsi, offrendo il lavoro e quindi la dignità, delinque.

L’etica (la mia, e, credo, quella di molti altri) condannerebbe solo il liberticida, non il buon samaritano; perché è odioso costringere il proprio prossimo su una nave inibendo l’entrata nei porti ed è invece civile, generoso e progressista dare dignità e rispetto agli sfortunati.

Dov’è il corto circuito nell’ordinamento giuridico italiano che incrimina tanto l’offesa allo straniero quanto la sua accoglienza? C’è una quantità massima di integrazione legittima, superata la quale subentra il delitto? E se, invece, tanto per cambiare, il problema non stesse nelle norme ma negli uomini che le applicano?

Il dubbio mi viene non solo perché non ho rintracciato le leggi che puniscono l’eccesso di accoglienza, ma anche perché il capo della Lega, in relazione alle due occasioni nelle quali ha vietato lo sbarco a terra dei migranti, in un caso, è stato rinviato a giudizio, nell’altro, no.

E allora, se è difficile capire come si possa punire due azioni analoghe e opposte, ancor più arduo è (per me) comprendere come una medesima azione si possa ritenere, una volta, illecita, un’altra legittima.

Povera patria, schiacciata dagli abusi di potere, cantava, mistico e triste, Franco Battiato. Anche se non siamo migranti e ministri, non rinunciamo alla certezza del diritto e non sottovalutiamo l’importanza della giustizia quale garanzia del patto sociale, al cui esatto adempimento essa deve concorrere con trasparenza e intelligibilità, fuori dalle nebbie, oltre i soggettivismi.