di GIANCARLO ALTAVILLA – La crisi politica: l’importanza dello Stato, l’importanza del governo. Cosa ci perdiamo e cosa troveremo.
Siamo nei giorni della crisi governativa, foriera, chissà, di un nuovo esecutivo o di un esecutivo quasi nuovo. Probabilmente foriera di un esecutivo vecchio, puntellato di nuovo. È grave? È una situazione di cui il popolo sovrano deve preoccuparsi? Ma no. I governi sono come i papi, morto uno se ne fa un altro; quindi, la preoccupazione civica di questi giorni è bene che si traduca in attenzione, informazione e riflessione, escluso il dramma.
Per rasserenarmi all’idea del governo stramazzato al suolo ho riflettuto un po’, per cercare di capire cosa ci perderemmo se gli attuali inquilini di Palazzo Chigi dovessero lasciare le dorate stanze e tornare alla vita di prima, chi a fare il cameriere, chi l’avvocatino, chi nulla (che, diciamolo, in certi casi è il presupposto per non fare danni). Per intuire quanto il Paese si perderebbe se il governo cadesse, ho cercato di ricordare quante cose che contano il popolo ha visto succedere negli anni di Giuseppe Conte. Beh, le cose cruciali, urgenti e necessarie sono quelle che l’Italia ancora attende, non quelle che ha visto realizzarsi.
La giustizia. A parte la sciocca e populista riforma della prescrizione dei reati, utile solo a consentire processi penali senza fine a scapito di cittadini non mai giudicati ma giudicandi sine die: nulla. I riti processuali sono rimasti quelli di sempre, impantanati in uffici polverosi, pigri e indifferenti.
La scuola. Dopo la riforma di alcuni anni or sono, quella che ha trasformato gli studenti in lavoratori a gratis, riducendo le ore di formazione e le materie di insegnamento: nulla. Salvo il tradizionale concorsone, già pietra miliare del dicastero di Luigi Berlinguer, utile solo a coloro che lo supereranno e non certo ad un comparto in cui la componente docente è vecchia e stanca (anche a causa del precariato, scandaloso non perché mai risolto, ma perché consentito e legittimato), non un’idea, non una novità, non una riforma piccola piccola.
La sanità. Qui l’azione contiana è nichilista: il nulla è l’idea più bella. Dopo gli anni dei tagli indecenti, dei colpi di maglio inferti al servizio sanitario da Destra e da Sinistra, il governo che oggi pericola non ha elaborato una sola ipotesi di riforma. E nella prospettiva di poter investire nuovo denaro nel settore diagnosi e cure, l’elaborazione di un progetto di spesa, organico e strutturale, è solo una Speranza.
L’università. C’è un ministro dell’università? Certo che c’è, ma non si sa dove sia. Il numero chiuso nell’accesso ai dipartimenti, contro cui un ministro stellato aveva proferito parole di fuoco, c’era e c’è, stabile e assodato. La didattica è ferma da un anno, trasformata in lezioni telematiche della cui insipienza non si parla e di cui si ignora la necessità di un superamento.
Il lavoro. Il pubblico impiego è pressoché fermo da un anno, lo smart working è una forma surrettizia di autodeterminazione lavoristica di cui nessuno ha pensato di indagare la proficuità e la scelleratezza.
Le infrastrutture. La ministra, a fronte della comprovata insufficienza e vecchiezza del sistema dei trasporti, causa e fonte di affollamenti buoni solo per diffondere i virus, ha saputo solo ricordarci che il dicastero non c’entra, perché è roba degli enti locali.
Il dissesto idrogeologico: non pervenuto. Il sistema penitenziario: non pervenuto. Tasse, imposte e gabelle, evasione fiscale: non pervenuto. Ex ILVA: non pervenuto. Guido Regeni: non pervenuto.
Poi ci sono le cose buone. Sicuramente i tanti bonus per l’acquisto di biciclette e monopattini, il cash back per rimborsare le spese in moneta elettronica, e, più di tutte, la salda e lucida gestione della pandemia, banco di prova della fantasia al potere, tradotta nelle più disarticolate misure di prevenzione dai colori pastello.
Insomma, cari connazionali, dopo uno sterile vivacchiare, il governo pericola. Ma restiamo tranquilli, tanto, lo sapete – come cantava Francesco Guccini –, ci sarà sempre un musico fallito, un pio, un teorete, un Bertoncelli o un prete a sparare cazzate.
(foto: licenza pixabay – https://pixabay.com/it/illustrations/al-di-fuori-all-interno-simboli-83693/ )
Giancarlo Altavilla è avvocato amministrativista, cassazionista, professore a contratto all’Università di Pisa